Dopo averlo doverosamente fatto col direttore proponendoglielo, mi scuso anche con i lettori per questo articolo che scrivo in pieno, sfacciato, sfacciatissimo conflitto d’interessi, diciamo così per non allontanarmi troppo dall’argomento usuale della politica. Sono tanto anagraficamente quanto involontariamente partecipe di quei trafficanti di strada con ottant’anni e più sulle spalle che dalle cronache recenti si sono messi infelicemente in concorrenza, pur astemi in genere, con giovani e adulti che, abusando spesso di alcol e telefonino, provocano incidenti, naturalmente anche mortali. Addirittura da stragi, in alcune occasioni.
I vecchi sono abitualmente più sobri e meno connessi dei giovani e degli adulti, ma più esposti alla sfortuna per i riflessi organicamente più lenti, anche di fronte a certa cartellonistica maltenuta che li fanno arrivare in autostrada, o superstrada, o altro ancora, nella direzione e nel senso sbagliati. Ho letto che il vice presidente del Consiglio e ministro dei Trasporti in persona Matteo Salvini ha deciso di occuparsene personalmente, con la tempestività che lo distingue, pur alle prese in questi giorni con la campagna odiosamente, cavernicolamente ostile alla realizzazione del progetto del ponte sullo stretto di Messina, voluto- ha appena ricordato l’entusiasta architetto Massimiliano Fuksas - da Giuseppe Garibaldi attraversandolo a suo tempo in barca. Prima quindi del Duce intravisto in qualche racconto e dei malcapitati, nelle cronache politiche, Bettino Craxi e Silvio Berlusconi.
L’APPELLO
Ebbene, mi permetto di segnalare al vice presidente del Consiglio Salvini e dintorni alcuni aspetti della vita difficile di noi vecchi sulle strade italiane. Non siamo allo storico “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway del 1952, ma al vecchio e il volante della nostra Italia burocratizzata e un po’, come vedremo, anche vagamente iettatoria. Il vecchio che dalle nostre parti scampa alla morte dopo gli ottanta anni e si ostina a ritenersi ancora in grado di guidare e praticare in autonomia il suo diritto alla vita deve rinnovare la patente di guida ogni due anni, anziché i cinque precedenti e i dieci ancora più indietro. Il costo del rinnovo è di circa 100 euro, tra certificato del suo medico di base (a pagamento), tassa e accessori, ma il documento vale, ripeto, solo due anni. Per cui esso costa cinque volte di più. Mi sembra una sovrattassa sulla vecchiaia.
Sempre da vecchio, ma al compimento dei “soli” sessantacinque anni, scoprii nella Roma “ladrona” dove Umberto Bossi stentava ad ambientarsi da parlamentare, alla fine riuscendovi bene o male pure lui, di non potere rinnovare il mio abbonamento tramviario nelle solite due rate semestrali. Oltre i sessantacinque anni bisognava rinnovarlo in una unica rata anticipata. Ero a uno sportello dell’Atac in una stazione della metropolitana di viale, addirittura, Giulio Cesare. Mi accorsi quindi che l’azienda capitolina e il Comune scommettevano sulla morte dell’abbonato. Ne rimasi interdetto. E ancora di più al sorriso, anzi alla risata dell’addetto al servizio opposta alla mia protesta, che non era stata per niente ironica. Non arrivai a li mortacci tua soltanto per non sapere parlare bene il “romanaccio”. Come Craxi a Verona non si era unito ai fischi contro Berlinguer solo perché non sapeva fischiare.
SPORTELLI ATAC
Non credo che le cose da allora siano migliorate agli sportelli dell’Atac, che smisi naturalmente di frequentare per scaramanzia, preferendo al cattivo gusto dell’amministrazione capitolina la scomodità del biglietto di volta in volta, via via rivelatosi peraltro addirittura più vantaggioso dell’abbonamento. Buon proseguimento del viaggio a tutti, e in tutti i sensi, vietati e non. © RIPRODUZIONE RISERVATA.