Camminano barcollando, con quell’andatura scomposta. Lente, lentissime. Testa bassa che affonda nella sabbia, corpicino rivolto al mare, guscio pesante sulle spalle. Vanno piano ma non le ferma nessuno. È l’anno (anzi, è l’estate) della tartaruga caretta carretta: colpa (ma guarda un po’) del cambiamento climatico e del clima che è sempre più caldo, però anche effetto (grazie al cielo) della rete di monitoraggio e cura e volontariato che ogni anno s’allarga e diventa capillare. Benvenuti in Liguria (ma non solo), la terra in cui i cheloni marini si sentono a casa.
Belle, iconiche, simbolo indiscusso di saggezza e assieme di di dolcezza, fondamentali per l’ecosistema (non tutti lo sanno ma sulla corazza che si portano appresso vivono piccole comunità di micro-piante e di animali, per esempio di crostacei) e allo stesso tempo a rischio estinzione: non ci sono solo loro (le caretta caretta), nel Mediterraneo scorrazzano almeno altre sei specie (come la chelonia mydas e la dermochelys coriacea, che è un tantinello più rara), però in Italia si trovano meglio che altrove.
In questi mesi di solleone oramai agli sgoccioli (speriamo di no), tra Genova e Alassio, su quella costa ligure che ci invidia mezzo mondo, s’è registrato un vero exploit della tartaruga marina: tra spiagge libere, stabilimenti e lidi attrezzati sono stati individuati almeno undici nidi: a Celle Ligure, ad Arma di Taggia, a Zinola, a Sarzana, a Imperia, a Laigueglia (qui hanno nidificato addirittura due volte), a Riva Ligure, a Sestri Levante (dove la schiusa ha consegnato, giusto ieri l’altro, una conta di 88 nuovi esemplari su 94 uova, cioè una percentuale di successo del 94%: e scusate se è poco).
In tutto il territorio nazionale, invece, i nidi scoperti sono stati circa 400 (tra parentesi: un nido mediamente può arrivare a contenere un centinaio di uova, la schiusa avviene tra i 45 e i settanta giorni, i piccoli impiegano anche una settimana per sbucare in superficie), più o meno in linea con le rilevazioni dell’anno passato, ma non è ancora finita. Il Comune di Riccione ha appena aderito ufficialmente al protocollo d’intesa per la loro salvaguardia promosso da Legambiente; il municipio pugliese di Castrignano del Capo, per proteggerle nella loro prima discesa in acqua, ha deciso di spengere l’impianto di illuminazione nell’area che abitualmente usano «per evitare che si disorientino»; quelle di Punta Marina, a Ravenna, (in tutto sono ben 51) hanno preso il largo giusto ieri; Pesaro, Torre Pali, Favignana. E poi più su, nelle spiagge del Settentrione: è che pure la tartaruga va a nord.
Forse per via dei lidi più “freschi”, vai a sapere. Epperò il risultato è lì da vedere: è una festa, ogni volta, che richiama adulti, anziani e bimbi, tutti ammassati (ma rispettosi), all’alba, quando il sole non picchia ancora, sulla rena, stretti intorno a questi rettili che fanno della flemma una virtù, mentre procedono richiamati dall’acqua, calmi, decisi, pacifici. E chi se ne frega se le zone che scelgono per nidificare sono occupate dalle attività balneari, si fermano anche quelle all’occorrenza (e sì, i bagnini, benedetti bagnini, sono fondamentali anche per la loro salvaguardia).
La Regione Liguria (non è un caso nelle sue riviere si sia notato l’afflusso maggiore: e a dirla tutta è dal 2021 che le tartarughe marine hanno cominciato a “invaderla”) ha recentemente approvato una delibera che tutela e difende i nidi di tartaruga marina: non sono solo parole, sono anche stanziamenti come quello di 84mila euro destinato all’elaborazione di alcune linee guida e di un codice di buone pratiche che dovrà essere messo in pratica dagli operatori balneari, alla mappatura informatizzata dei siti (fondamentale) e al monitoraggio affidato al nucleo di vigilanza faunistico. L’altro aspetto, non secondario, è la sensibilizzazione e l’informazione del fenomeno perché è solo rendendo consapevoli noi umani che possiamo salvare il mondo animale (vale per le carretta carretta, ma vale per tutte le altre specie e razze esistenti in natura).
Non è tutto rose e fiori, sia chiaro: le statistiche (del Wwf) parlano anche di 150mila tartarughe marine catturate accidentalmente ogni anno e otto su dieci di queste con rifiuti da microplastiche ingeriti o inalati nei polmoni (già, le tartarughe marine hanno i polmoni e, quindi, hanno bisogno di aria per restare vive, ma riescono a immergersi nell’acqua per l’80% del tempo e sono in grado, di conseguenza, anche si scendere in profondità per centinaia di metri: alla faccia dei sub). Però la buona notizia c’è. Ora tocca solo mantenerla.