Le macchinette per fototessere poetiche custodi di memorie

I turisti nelle città d’arte fanno la fila per un "ricordo immediato", sui social spopolano le classiche immagini "in serie": sembravano superate, l’impronta vintage le ha salvate
di Luca Puccinimartedì 9 settembre 2025
Le macchinette per fototessere poetiche custodi di memorie

3' di lettura

Fa subito anni Settanta/Ottanta, però chi ce la fa a resistere? In due sulla seggiolina, tenda tirata: il (primo) bacio rubato, il frame di una sbronza colossale, il ricordo di una giornata tra amici, risate, scherzi e l’immortalità del singolo momento. Ché diciamocela tutta: comode le foto digitali, per carità. Pigi un pulsaltino sul cellulare che hai sempre in tasca, inquadri alla meno peggio, oramai anche gli smartphone più economici hanno una risoluzione da fotografo di medio livello. Ma vuoi mettere la carta?
Quella lucida, magari pure di pessima qualità ma chissene, i souvenir sono fatti anche così (fosse solo una questione di pixel sai che noia). Quella con la listarella lunga, formato tessera epperò in fila; quella che tre, due, uno “cheese”. Sante, santissime, intramontabili cabine per le fotografie automatiche.

In Italia ce ne sono più di 5mila, mica solo nelle grandi città (anzi): stanno cedendo al tecnologico pure loro (ormai hanno tutte il compiuterino dentro), ma sai che c’è? Sono tornate di moda. Pochi euro per qualche scatto, spesso per gioco (la fotografia da documento capita sia poi da rifare, la porti in questura per il rinnovo del passaporto e ti dicono non-va-bene-noi-consigliamo-sempre-il-fotografo-lo-vede-questo-riflessino-qui-sulla-sente-dell’occhiale ?), quasi sempre perché ti rimane. Lì, nel portafoglio: il nonno con la nipotina che fa la linguaccia, la comitiva di turisti coi cappellini “we love Italy”, due ragazzini innamorati ché non ci sarà più il diario segreto dove appiccicarla dentro un immenso cuore disegnato con l’Uniposca fucsia (che si stanno perdendo gli screenagers della generazione Alfa!), ma un posticino per tenerla a memento esiste ancora, magari infilata nel retro della cover dell’iPhone, bella-zi’-come-ai-tempi-del-babbo.

Viva, viva e sempre viva quegli sgabuzzini automatici presenti in pressoché ogni stazione, che a Firenze (per dire il fenomeno) sono state riproposte a mo’ di attrazione cittadina e funzionano (c’è chi s’informa sui social, chi le vede prima su TikTok e poi va a cercarle per strada, per provarle, chi ci si si imbatte per caso ma il richiamo è irresistibile), ché a Roma sono addirittura finite nel mirino di qualche ladruncolo di periferia che qualche mese si è messo a svuotarle assieme ai parchimetri (perché la delinquenza va dove ci sono gli incassi, forse composti da tonnellate di spicci, ma comunque incassi), ché l’anno scorso, in cinquanta Comuni, sono diventate “pinkbox”, cioè un presidio contro la violenza di genere, assieme alla fotocamera che scatta a ripetizione mini foto 35x45 millimetri hanno istallato un pottoncino collegato direttamente al 1522, il call-center per chiedere aiuto in caso di aggressione.

Da macchinette del boom (la prima è stata inaugurata nella galleria Alberto Sordi di Roma, dalla società Dedem Automatica di Ariccia, era il 1962) al boom delle macchinette (senza tempo, immortali, intragenerazionali al punto che puoi avere settant’anni come tredici, non c’è storia, puoi essere uno studente squattrinato o un professionista blasonato, una volta, una nella vita, o per necessità o per divertimento, su quello sgabellino girevole ma non troppo, dato lo spazio limitato, ti ci sei seduto anche tu).

I selfie del nuovo millennio, ma per favore. La mania di condividere su Facebook o di pubblicare su Instagram non vale un centimetro quadrato di quella finitura sgranata da album portatile.

All’inizio erano in bianco e nero, adesso sono hi-tech ed eco-friendly (si spengono per risparmiare energia, chiedono prima la conferma per non sprecare materiale): ogni anno stampano circa dieci milioni di fotografie, la Dedem (che resta un’autorità nel campo), tra qui e l’estero, solo nel 2019, ha fatturato 80 milioni di euro, recentemente, si è quotata su Euronext growth Milan raccogliendo in fase di collocamento dieci milioni di euro, ha 668 dipendenti e se chiedi al suo amministratore delegato, Alberto Rizzi, ti dice senza tanto complimenti che «siamo un gruppo solido e in crescita».

Nell’era delle reflex finite in soffitta e soppiantate dagli smartphone con cui puoi girarci anche un filmino in hd, nell’era della velocità telematica, della rete che si mangia tutto, che condivide tutto, che antepone l’immagine a qualsiasi testo scritto. E invece basta un click seduto dentro una cabina semi oscurata, con la faccia da pirla (nove su dieci) e quel gusto un po’ vintage che guai a portarcelo via. Tanto alla fine non compri neanche quello. Compri un ricordo. Compri un attimo di vita che ti rimarrà nel portamonete. Quanto è bello il mondo fuori dal telefonino.