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Emilia-Romagna in crisi, per risparmiare blocca gli interventi chirurgici

di Claudia Osmettivenerdì 3 ottobre 2025
Emilia-Romagna in crisi, per risparmiare blocca gli interventi chirurgici

(Ansa)

3' di lettura

«Siamo un po’ dentro una graticola». Cesare Faldini è uno di quei medici seri, competenti (mica a caso l’American accademy of orthopaedic surgeons gli ha riconosciuto il primato di chirurgo ortopedico più premiato al mondo) che amano il proprio lavoro e che si spendono per farlo al meglio. Il che significa nelle migliori condizioni possibili perché quella è l’unica garanzia di un servizio che sia davvero a disposizione dei cittadini. Dirige il dipartimento di Patologie complesse all’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna, Faldini, e la sua è una struttura d’eccellenza, la quinta al mondo secondo Newsweek, con migliaia di pazienti ogni anno, l’unico Ircss ortopedico pubblico che abbiamo in Italia. Epperò, dal prossimo 12 dicembre fino al 7 gennaio del 2026, al Rizzoli dovranno sospendere l’intera attività chirurgica programmata e potranno operare in solo emergenza. In tre parole: è la politica, bellezza. In un discorso un po’ più articolato: è che il macigno dei conti della sanità colpisce anche le regioni del centrosinistra (checché ne dicano, o ne abbiano detto, dato che al giorno d’oggi la polemica vira su altri argomenti, i diretti interessati) e nella rossa Emilia Romagna di Michele De Pascale non va diversamente.

C’è un disavanzo economico, tocca sanarlo, parola d’ordine “risparmio”, tra le misure comunicate negli ultimi dì c’è anche quella di ridurre gli interventi al Rizzoli. Epperò gli addetti ai lavori (come Faldini) qualche remora ce l’hanno. Primo: il rischio concreto, agendo in questo modo, è di aggravare il problema delle liste d’attesa (che già di suo, mica solo al Rizzoli, non è una questioncina secondaria). Le statistiche, all’Ircss bolognese, contano circa 27mila pazienti che aspettano un intervento e hanno un tempo medio di attesa di diciotto mesi (diciotto mesi è un anno e mezzo, tanto per essere chiari). Sospendi di qui, blocca di là, se il risultato è aumentare questi dati a discapito della fruizione dell’utenza, lo capisce anche un bambino, c’è poco da fare: forse la toppa (per il portafoglio collettivo) è peggiore del buco (per il servizio alla comunità).

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Secondo: se va così va pure peggio perché la prospettiva, a regime, col nuovo anno, dovrebbe essere addirittura quella di «fare meno interventi ad alta complessità», che in realtà sono il fiore all’occhiello dell’ospedale, a fronte di una quota di urgenze che invece resterà ancora parecchio elevata (e comunque più corposa di quella attuale). Terzo: il tutto senza tenere in considerazione le caratteristiche del Rizzoli, che «non si è mai occupato i traumatologia: i due centri del territorio che gestiscono l’emergenza e l’urgenza sono il Sant’Orsola e il Maggiore anche perché noi, non essendo un policlinico, non siamo attrezzati. Banalmente, se ci arrivasse una persona con l’ambulanza dopo una brutta caduta nella quale ha picchiato la testa, non abbiamo l’unità di Neurologia».

Faldini, un mesetto fa, ha scritto, firmato assieme al professor Davide Donati che è il responsabile, sempre al Rizzoli, del dipartimento di Patologie specialistiche, e inviato sia al governatore De Pascale che all’assessore alle Politiche per la sanità dell’Emilia Romagna Massimo Fabi, una lunga lettera nella quale sollevava queste problematiche e cercava di fare il punto ricapitolando l’epopea della struttura. Niente. Il piano regionale adesso è quello di «chiudere l’attività elettiva» praticamente per tutto il periodo delle festività natalizie: tra l’altro una disposizione del genere, al Rizzoli, è stata presa «solo in tre occasioni, durante le due guerre mondiali e con la pandemia del Covid di cinque anni fa». «Tutto questo è disastroso nei confronti del paziente ma solleva anche un problema di collocazione di sfruttamento della nostra istituzione», continua Faldini, «noi abbiamo un istituto prestigioso e conosciuto, la nostra mission è un’altra». Chiaramente lo scopo di un ospedale è curare i malati, «ma non ha senso che noi facciamo la linea dell’urgenza quando abbiamo pazienti a cui dover levare una vertebra o ricostruire un bacino, per parlar chiaro» che sono interventi che non tutti possono garantire.