Tante volte Benedetto XVI aveva tuonato contro il «carrierismo» nella Chiesa, definendolo «una peste». E anche Papa Francesco, più volte, aveva richiamato la Curia romana a essere più “missionaria”, meno attaccata al potere. Questa volta è Leone XIV ad affrontare la cerchia a lui più vicina, cardinali e responsabili della Curia, richiamando con forza le storture che si annidano nell’esercizio del potere.
Lo ha fatto ieri, in occasione degli auguri ai cardinali e ai superiori della Curia, a meno di un mese dal suo primo concistoro, previsto il 7-8 gennaio, altro passo importante che comincerà a plasmare la Chiesa di Papa Leone XIV. Intanto ieri, incontrando gli attuali cardinali e responsabili della macchina curiale, il Papa ha parlato di «smania di primeggiare», richiamando la centralità di due pilastri: la missione e la comunione. «L’amarezza», ha detto il Papa, «a volte si fa strada anche tra di noi quando, magari dopo tanti anni spesi al servizio della Curia, notiamo con delusione che alcune dinamiche legate all’esercizio del potere, alla smania del primeggiare, alla cura dei propri interessi, non stentano a cambiare. E ci si chiede: è possibile essere amici nella Curia romana? Avere rapporti di amichevole fraternità?».
Trasformando la critica nell’indicazione di un orizzonte più bello e più giusto, ha spiegato che «nella fatica quotidiana, è bello quando troviamo amici di cui poterci fidare, quando cadono maschere e sotterfugi, quando le persone non vengono usate e scavalcate, quando ci si aiuta a vicenda, quando si riconosce a ciascuno il proprio valore e la propria competenza, evitando di generare insoddisfazioni e rancori». Ma questo è possibile quando si mette al centro del proprio servizio altro dal potere: «Abbiamo bisogno», ha continuato il Papa, «di una Curia romana sempre più missionaria, dove le istituzioni, gli uffici e le mansioni siano pensati guardando alle grandi sfide ecclesiali, pastorali e sociali di oggi e non solo per garantire l’ordinaria amministrazione». E la missione, ha spiegato il Papa, è «strettamente congiunta alla comunione», nasce da essa. Lo è stato fin dall’inizio, perché «il Natale celebra la missione del Figlio di Dio in mezzo a noi», ma «ne contempla anche il fine: Dio ha riconciliato a sé il mondo per mezzo di Cristo».
Dunque, «la comunione nella Chiesa rimane sempre una sfida che ci chiama alla conversione». Talvolta, dietro un’apparente tranquillità, si agitano i fantasmi della divisione. E questi ci fanno cadere nella tentazione di oscillare tra due estremi opposti: uniformare tutto senza valorizzare le differenze o, al contrario, esasperare le diversità e i punti di vista piuttosto che cercare la comunione. Così, nelle relazioni interpersonali, nelle dinamiche interne agli uffici e ai ruoli, o trattando le tematiche che riguardano la fede, la liturgia, la morale o altro ancora, si rischia di cadere vittime della rigidità o dell’ideologia, con le contrapposizioni che ne conseguono. Noi, però, siamo la Chiesa di Cristo, siamo le sue membra, il suo corpo. Siamo fratelli e sorelle in lui. E in Cristo, pur essendo molti e differenti, siamo una cosa sola».
Il Papa ha poi rivolto un appello a cardinali e sacerdoti della Curia: «Siamo chiamati, anche e soprattutto qui nella Curia, a essere costruttori della comunione di Cristo, che chiede di prendere forma in una Chiesa sinodale, dove tutti collaborano e cooperano alla medesima missione, ciascuno secondo il proprio carisma e il ruolo ricevuto».
La strigliata non è finita, però, con questo incontro. Ieri è stata diffusa anche la lettera apostolica Una fedeltà che genera futuro. In questo documento, Papa Leone XIV è tornato sul tema degli abusi e su quello della formazione umana dei sacerdoti: «In questi ultimi decenni», si legge, «la crisi della fiducia nella Chiesa suscitata dagli abusi commessi da membri del clero, che ci riempiono di vergogna e ci richiamano all’umiltà, ci ha reso ancora più consapevoli dell'urgenza di una formazione integrale che assicuri la crescita e la maturità umana dei candidati al presbiterato, insieme con una ricca e solida vita spirituale». Perché «solo presbiteri e consacrati umanamente maturi e spiritualmente solidi, cioè persone in cui la dimensione umana e quella spirituale sono ben integrate e che perciò sono capaci di relazioni autentiche con tutti, possono assumere l'impegno del celibato e annunciare in modo credibile il Vangelo del Risorto». Un monito forte alla formazione dei sacerdoti e alla loro vita una volta usciti dal seminario, altra questione centralissima e più volte toccata anche dai suoi predecessori.




