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"La Meloni parla di te". I dialoghi a casa Hannoun: le intercettazioni

di Simone Di Meo martedì 30 dicembre 2025

3' di lettura

C’è una data che torna come una cicatrice, nelle carte dell’inchiesta sui fondi italiani ad Hamas: 18 ottobre 2001. Un mese dopo le Torri Gemelle. È in quel momento che, secondo gli investigatori, parte il flusso di denaro verso l’organizzazione terroristica palestinese. Non un’elemosina occasionale, ma un sistema. Un meccanismo rodato, mimetizzato dietro la solidarietà verso l’incolpevole popolo palestinese, costruito su sedicenti associazioni «benefiche» e alimentato per oltre vent’anni attraverso una rete di triangolazioni internazionali. Vent’anni di finanziamenti, nascosti sotto la coperta dell’aiuto umanitario, mentre i terroristi di Hamas costruivano arsenali, addestravano miliziani e preparavano il massacro del 7 ottobre 2023.


La Digos e la Guardia di Finanza mettono nero su bianco il quadro esattamente ventidue anni dopo, il 18 ottobre 2023, a distanza di dieci giorni dalla strage in Israele. L’informativa su Mohammad Hannoun, presidente dell’associazione dei palestinesi in Italia e presunto fiancheggiatore di Hamas, arriva in Procura a Genova quasi come una risposta immediata e necessaria all’eccidio. Tre le associazioni finite sotto la lente, tutte controllate direttamente o indirettamente dall’imam ligure: la prima, l’Associazione benefica di solidarietà col popolo palestinese, nata nel 1994; la seconda nel 2003; l’ultima addirittura nel 2023.
Cambiano i nomi, non la funzione. Secondo gli inquirenti, il denaro diretto a Hamas transitava attraverso una galassia di almeno venti enti caritatevoli, utili a spezzare la tracciabilità dei fondi e a rendere opaca la destinazione finale. Beneficenza come paravento, terrorismo come obiettivo.

Le intercettazioni raccontano più di mille comunicati. In casa Hannoun, con il telegiornale arabo in sottofondo, si parla di «martiri» delle Brigate al-Qassam. La figlia chiede se tra i morti ci sia tale Selema. La madre conferma. Hannoun precisa: sì, era uno di loro. La chiusura della donna è gelida, ideologica, senza ambiguità: «Speriamo che il loro martirio non sia vano». Poco dopo, la voce di Giorgia Meloni risuona dalla televisione; il premier condanna la Resistenza palestinese infiltrata da Hamas. In casa si ride alle sue parole. «Parla di te», scherza ancora la moglie rivolgendosi ad Hannoun. È un frammento domestico, ma è anche una fotografia politica: la normalizzazione del linguaggio del terrore, consumata tra le mura di un appartamento nella periferia di Genova. Le relazioni sono altrettanto chiare. Gli atti documentano i rapporti stretti tra Hannoun e Amin Abou Rashed, indicato come esponente di Hamas con un ruolo di rilievo in Europa. Il Gip Silvia Carpanini non usa giri di parole: è un indice di appartenenza alla stessa rete, alla stessa organizzazione. Non simpatia, non contiguità ideologica. Appartenenza.

E poi c’è il denaro, che segue sempre la stessa traiettoria. Il 10 aprile 2024, una telefonata intercettata racconta la realtà di Gaza meglio di qualsiasi slogan e conferma quanto sostenuto da Israele sulla natura e la matrice della carestia a Gaza. Quasi 400mila dollari spesi per alimentari destinati a una carovana benefica rischiano di essere «rubati». I camion vengono assaliti dai terroristi. Non dai fantasmi, ma da chi controlla il territorio. È l’ammissione implicita di ciò che l’inchiesta fa leggere in controluce: pure gli aiuti materiali, oltre ai contanti, finiscono risucchiati dal sistema Hamas, trasformati in carburante politico e militare. E in arma di ricatto internazionale. Il capitolo più esplosivo arriva però il 14 febbraio 2024. Un’intercettazione ambientale nella sede milanese di Hannoun registra una conversazione su un trasferimento di denaro da Istanbul ad Amman. Destinazione finale: non Hamas, bensì Hezbollah, la formazione politico-militare libanese che, in quei mesi, sta bombardando il nord di Israele per chiudere a tenaglia la morsa sullo Stato ebraico. Le voci parlano di somme, rotte, intermediari. Hannoun, secondo le evidenze tecniche, in quel momento si trova in Medio Oriente, scrive il Gip. Il quadro si allarga: non solo la formazione fondata dallo sceicco Yassin, ma l’asse armato che lega Gaza al Libano, passando per la Turchia e la Giordania. Un nuovo capitolo dell’orrore. E la conferma che l’inchiesta di Genova non racconta una deviazione isolata. Racconta un metodo. La beneficenza usata come copertura. Le associazioni come schermi. Le famiglie come luoghi di propaganda. Le parole come anticamera della violenza.
E mentre in Italia si discute di contesto e la sinistra prova goffamente a difendersi, le carte giudiziarie svelano invece date, somme, nomi, legami. Svelano il terrorismo finanziato in silenzio, per anni, sotto gli occhi di tutti o, almeno, di quelli che ritenevano giusto non voltarsi dall’altra parte. E inchiodano una rete che, oggi, non può più nascondersi dietro la parola «solidarietà».

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