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Cellule e obiettivi comuni: gli anarchici emulano le Br

Lo spettro della Fai: ecco la loro strategia. La loro impostazione liquida non li rende meno pericolosi

Andrea Tempestini
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Eccola qui, la strategia. Nero su bianco in uno scritto del catanese considerato il padre nobile - più che altro il nonno, visto che ha 73 anni - dell'anarco-insurrezionalismo europeo. Alfredo Maria Bonanno, da poco condannato a quattro anni  per via d'una rapina a cui si dichiara estraneo, uscito di cella per motivi di salute ma in attesa d'appello - e mica per niente è proprio la Grecia l'altro Paese, oltre all'Italia, in cui la A cerchiata trova spazio d'azione. In ogni caso, in “Nuove svolte del capitalismo”, Bonanno scrive: «In sostituzione delle federazioni e dei gruppi organizzati in modo tradizionale, pensiamo che vadano costruiti gruppi di affinità costituiti da un numero non molto esteso di compagni, legati insieme da un'approfondita conoscenza personale, capaci di collegarsi tra loro attraverso scadenze periodiche di lotta aventi lo scopo di realizzare azioni precise contro il nemico». Risale a prima del '96, quando decine di anarchici furono arrestati perché ritenuti componenti dell'Organizzazione Rivoluzionaria Anarchico Insurrezionalista (Orai).  Alla fine vennero accertati processualmente i collegamenti con l'anonima sarda e furono distribuiti un ergastolo, condanne a 15 e 12 e 10 anni. A Bonanno sei anni di cella, ma era già fuori. Ormai l'Orai, come sigla, non è più utilizzata. Sostituita dalla Fai, la Federazione Anarchica Informale, quella che ha rivendicato la bomba contro il direttore di Equitalia. La cui prima azione rivendicata risale a un'altra vigilia di Natale, quella del 2003, quando fecero esplodere due bombe rudimentali vicino alla casa bolognese di Romano Prodi, allora presidente della Commissione Europea. Spiegano gli analisti che la continuità con l'Orai sta tutta in quell'ultimo termine, informale. Vuol rappresentare un concetto di lotta armata che, in linea con le teorizzazioni di Bonanno, rifiuta l'organizzazione militarizzata, rigida, gerarchicamente strutturata sul modello delle Brigate Rosse, definite queste «facilmente attaccabili dal potere» poiché «basta un infame per farle cadere come un castello di carta». E dunque, la Fai si presenta piuttosto come un insieme di cellule autonome, pronte a entrare in azione senza che le altre siano al corrente. E non si pensi che quest'impostazione più liquida renda la Fai meno pericolosa, anzi. I servizi segreti ne parlano come della «minaccia più concreta dell'eversione anarco-insurrezionalista, in grado di interloquire con altre realtà dell'estremismo rivoluzionario e dell'antagonismo». E nel rapporto 2010 del Cesi - il Comitato Esecutivo per i Servizi di Informazione e Sicurezza - si sottolineano i rischi che potrebbero derivare da «un incremento degli interventi contro obiettivi legati, in primis, ai sistemi di sicurezza e detenzione, nonché a politiche finanziarie e questioni ambientali». di Andrea Scaglia

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