Zalone frega chi vuole farne una bandiera
Ci provano tutti, da Matteo Renzi che lo ha visto con la famiglia il primo dell'anno, agli avversari del premier che vorrebbero farne una bandiera da impugnare contro di lui. Però è impossibile mettere cappello su Checco Zalone e sul suo Quo vado, il film che sta sbancando il botteghino delle feste. Perchè come bandiera quella favola semplice non funziona nè nelle mani degli uni, nè in quelle degli altri. E' una favola, e basta.Anche io l'ho visto domenica 3 gennaio, in una sala di Roma che non era nemmeno al gran completo (le prime 5 file erano vuote). E sinceramente ho riso meno che in passato. Ci sono trovate, freddure, c'è la simpatia del personaggio che fa sorridere spesso. Ma battute memorabili da sganasciarsi non ne ho trovate. Ero condizionato, avendo letto troppe recensioni, anticipazioni e polemiche sulla stampa e sul web. Ma quasi nulla di quel che ho letto poi ho davvero trovato in Quo vado. Avevo letto che era un film contro le riforme di Renzi. Beh, c'entra poco o nulla. Checco è dipendente di una provincia abolita sulla carta (da Enrico Letta, non da Renzi), destinato alla mobilità secondo la legge. Ma la legge è perentoria negli slogan, assai più morbida nella sua applicazione. Così il lungo elenco di eccezioni alla mobilità del personale della provincia sparita ne salva 99 su 100. L'unico colpito è lui, Zalone. Che però si difende con le unghie e con i denti, resiste ad ogni tipo di mobbing e ce la fa a mantenere il “posto fisso”. E' una fotografia dell'Italia immutabile, che resta sempre se stessa convinta che tanto l'eventuale rivoluzionario di turno passerà. In Quo Vado non c'è nemmeno quell'apoteosi del politicamente scorretto che pure è stata descritta sui media. Sì, c'è lo zotico italiano del Sud che in Norvegia viene “rieducato” alla civilità e al socialmente corretto (fare la fila ordinatamente, non suonare il clacson al semaforo, non mettere auto in doppia fila, accettare anche famiglie di fatto nate da mille storie, e ovviamente anche i matrimoni gay). Dura un po', ma alla fine la lunga notte polare con le giornate buie e tristi (tanto è che ci si suicida) fanno prevalere in Checco il ricordo e la gioia di una inciviltà dell'Italia del Sud fatta di profumi, di luci, di odori e sì, anche di file saltate, allegre clacsonate e così via. Come si fa lassù nei grandi freddi a non avere nostalgia dell'Italia? Tutto qui però il politically scorrect: nostalgia e patriottismo, che tanto scorretti non sono. Ma a chi sta per agguantare questa bandiera e brandirla contro l'intellighenzia per bene e di sinistra, Checco sbatte in faccia il suo lieto fine. Giusto che le favole siano a lieto fine, ma l'epilogo di Quo Vado sembra scritto da Valter Veltroni tanto è buonista: c'è l'Africa, l'addio al posto fisso, una vita da volontario di Emergency, la scelta per amore della donna che offre solo una vita politically correct, il buon cuore che emerge anche dai più cattivi. E' una favola anche per bambini, con cui farsi una risata in compagnia e passare con leggerezza meno di due ore di quel che tempo che durante le feste c'è. Non fatene altro, perchè vi si rivolta contro… Continua a leggere su L'imbeccata di Franco Bechis