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Articolo 18, i sindacati guadagnano decine di milioni l'anno esentasse grazie alle cause

Nicoletta Orlandi Posti
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Attorno all'articolo 18 gira un'enorme quantità di denaro: quella che si mettono in tasca i sindacati per ogni vertenza che aprono per conto di un lavoratore licenziato. Nella sola provincia di Bergamo, ad esempio, nel 2013, la Cgil, Cisl e Uil hanno incassato oltre 27 milioni di euro. L'ufficio vertenze della Cgil-Lazio, secondo l'Espresso, avrebbe incassato un milione di euro in un anno; la Cisl Lombardia dal 2009 al 2013 qualcosa come 200 milioni di euro. I calcoli sono presto fatti: oltre ai 100 euro necessario per aprire la pratica e prendere la tessera, il sindacato si prende il 10% della somma ottenuta dal lavoratore come risarcimento o indennizzo dall'azienda. Dieci per cento che arriva al 25% di commissione per le organizzazioni più piccole. Percentuali che sono, scrive Paolo Bracalini sul Giornale, un ottimo incentivo a promuovere le cause, a spingere il lavoratore (sono circa un milione l'anno) a fare ricorso e a chiuderla con un accordo-risarcimento in sede stragiudiziale, cioè con una conciliazione che evita di andare in tribunale e, quindi senza appoggiarsi a studi legali e avvocati che a loro volta chiederebbero una parcella. "Tutti esentasse", spiega Loredana Fossaceca dell'associazione Assofamiglie, "perché sono contabilizzati come dazioni dei soci, non come un'entrata sottoposta a tassazione". E ancora: dal 2002 è stato introdotto "un contributo unificato" per proporre un giudizio in materia civile, amministrativa o tributaria, con importi a seconda del valore della controversia. Una tassa che a ogni legge di Stabilità è stata aumentata. Nel 2013 il ministero della Giustizia ha chiarito che i sindacati sono esentati dal contributo unificato. Un settore, dunque, quello delle vertenze sul lavoro che non conosce crisi.

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