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All'Italia serve una nuova legge Biagi

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"Dobbiamo imboccare la strada della "flexicurity", ma preparatevi allo scontro col sindacato" dice la Muntz

Michela Ravalico
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Sul mercato del lavoro in Europa Libero ha intervistato Annemarie Muntz, presidente di Eurociett, la federazione europea delle agenzie private per il collocamento. Appena eletta alla presidenza dell'Eurociett aveva fatto una previsione: le agenzie per il lavoro creeranno in Europa un milione e 600mila nuovi posti a tempo pieno entro il 2012 e in 5 anni i lavoratori “in somministrazione” supereranno i 5 milioni. Conferma questi dati? «Queste cifre si basano su un rapporto Eurociett del 2007, commissionato a Bain, che ha studiato il trend 1998-2006 ed ha rilevato un tasso di crescita annuale del 6,8% per il settore delle agenzie per il lavoro in Europa. Negli  ultimi anni c'è stata una crisi senza precedenti, ma tutti i segnali indicano che stiamo vivendo una fase di ripresa. Per il futuro prossimo siamo fiduciosi che il trend continui, contiamo di registrare  una  crescita ulteriore, anche se ci vorranno alcuni anni per tornare ai livelli precedenti la recessione. Siamo certi che verranno creati molti altri posti di lavoro anche per effetto  della Direttiva europea sulle agenzie per il lavoro, che dovrebbe eliminare entro il 2012 tutte le restrizioni ingiustificate che le limitano. D'altra parte  i  servizi privati per l'occupazione svolgono un ruolo importante nella creazione di nuovi posti: se le restrizioni saranno rimosse, saremo in grado di svolgere il nostro ruolo ancora più efficacemente». La crisi dunque sta facendo sentire tuttora i suoi effetti. Cosa prevede da qui alla fine del 2010? Le imprese torneranno ad assumere? Oppure ci dobbiamo rassegnare a un lungo periodo in cui le economie produrranno poco lavoro? «A oggi tutti gli indicatori  dicono che siamo in presenza di un recupero importante. Gli ultimi dati raccolti da Eurociett, a  marzo 2010, mostrano  un aumento  delle attività. Forse questo risveglio è dovuto in parte anche alla crescita della mobilità delle persone in cerca di un nuovo lavoro. E ci aspettiamo che a questo trend segua la creazione di nuovi posti. Un esempio su tutti è la Gran Bretagna, dove nel mese di marzo il settore delle agenzie per il lavoro ha registrato il più forte incremento nel giro di affari degli ultimi 34 mesi». Questo cosa significa, secondo lei? È la tanto attesa inversione di tendenza? «Le agenzie private rappresentano un indicatore chiave per il lavoro. Esiste una correlazione diretta tra il mercato del lavoro e il Pil: la domanda li lavoro solitamente è in ritardo di circa sei mesi rispetto al recupero del Pil. Il Prodotto interno lordo è tornato a salire: le economie hanno ripreso a creare ricchezza. Per il lavoro ci aspettiamo  una certa ripresa  nel terzo o al massimo nel quarto trimestre dell'anno». Anche in Italia le agenzie private stanno crescendo ma il nostro Paese rimane indietro rispetto ad altri, come Germania, Francia e Gran Bretagna. Come spiega questo ritardo italiano? «Il settore del lavoro temporaneo e delle agenzie per il lavoro è molto giovane in Italia. È stato riconosciuto legalmente solo nel 1997, molto più tardi rispetto ad altri Paesi europei. Così si spiega il livello alquanto basso di penetrazione nel mercato italiano». La legge Biagi ha dato un forte impulso alle strutture private. Cosa prevede per il futuro dell'Italia? «Sì, la Legge Biagi del 2003 ha introdotto un'importante deregulation nel settore  in Italia, estendendo la normativa giuridica del 1997.   È stata una svolta per le aziende private che possono mettere in campo politiche per l'occupazione più flessibili. Guardando al futuro, se l'Italia continuerà sul cammino delle riforme  e punterà a ristrutturare il mercato del lavoro, non potrà che far bene. Il vostro Paese deve affrontare però alcune difficili sfide demografiche nel futuro rispetto ad altri paesi europei: l'elevata età media della popolazione comporterà negli anni a venire una  scarsità di lavoratori. La soluzione è aumentare l'inserimento  delle donne, degli immigrati e di altri gruppi svantaggiati. L'Italia avrà bisogno di un tasso di partecipazione lavorativa del 75% entro il 2020 se  vuole raggiungere gli obiettivi fissati dall'Europa per quell'anno. Oggi è del 60%». Ma secondo lei sarà necessaria una “Biagi due”? In questo caso però bisognerà mettere in contro il no del sindacato. E non è poco... «Sarà importante premunirsi contro la riluttanza dei sindacati a riformare ulteriormente il mercato del lavoro. Il sindacato finisce per tutelare solo i posti  fissi a svantaggio degli "outsiders", quelli rimasti ai margini del mercato. Altro terreno di confronto molto duro sarà quello della flexicurity capace però di aumentare  la partecipazione al mercato del lavoro. Bisognerà poi attrezzarsi per  anticipare con precisione le tendenze che porteranno ad una crescita nel mercato del lavoro in aree specifiche, come i green jobs, i lavori legati all'ambiente». In queste settimane il Governatore del Piemonte Roberto Cota ha annunciato una rivoluzione nel collocamento: riceveranno i contributi solo quelle strutture capaci di trovare realmente un impiego ai disoccupati. Questo significa mettere sullo stesso piano i centri pubblici per l'impiego e le agenzie. Può funzionare questa impostazione? E secondo lei cosa potrà accadere? I disoccupati troveranno un impiego più facilmente? «Sì, questo è un buon esempio di cooperazione tra i servizi per l'impiego pubblici e quelli privati che hanno l'obiettivo di reinserire le persone nel mercato del lavoro. Questo tipo di cooperazione fa parte della politica dell'Unione europea e può risultare molto efficace nel mettere a fattor comune risorse e competenze per coprire i posti vacanti. Ad esempio, il servizio pubblico per l'impiego francese, Pôle Emploi, ha recentemente indirizzato 320mila persone senza lavoro verso il settore privato delle agenzie per il lavoro, con l'obiettivo di aiutare questi lavoratori e farli tornare in attività entro il 2011». Parliamo di formazione. Fino a che punto incide nella possibilità di ricollocare chi si trova a spasso? «La formazione è un fattore molto importante per aiutare gli occupati a conservare il proprio lavoro e per sostenerli  nella transizione occupazionale tra  settori ed aree geografiche differenti.  Il comparto  delle agenzie per il lavoro dà un contributo significativo alla formazione professionale. Essendo in stretto contatto col mondo del lavoro, le agenzie sanno quali sono le competenze richieste  sul mercato e si assicurano che i disoccupati ricevano la formazione di cui hanno bisogno per poter accedere ai posti disponibili. In cinque anni l'innovazione  del lavoro sarà tale che i posti vacanti saranno molto diversi dagli attuali. Ecco perché  è essenziale fornire costantemente una formazione professionale che mantenga le persone aggiornate con competenze  spendibili sul  mercato». Ma la fomazione costa. Chi la finanzia? In sette paesi europei, compresa l'Italia, le agenzie per il lavoro e le organizzazioni sindacali hanno definito fondi bi-partisan di formazione settoriale per fornire competenze professionali compatibili con i nuovi profili ricercati sul mercato. Eurociett e il suo alterego delle parti sociali “Uni-Europa” hanno studi che dimostrano la correlazione diretta  tra formazione professionale e capacità di far incontrare skills professionali con  posti di lavoro, e dimostrano anche l'importanza che ha la formazione per  mantenere il proprio posto di lavoro». Parliamo di flexicurity: nei Paesi dove c'è la massima libertà di licenziamento, come in Danimarca e nell'Europa dell'Est, la disoccupazione è esplosa. Non è pericolosa la flessibilità? «No, anzi. I paesi che hanno rivisto il loro mercato del lavoro per adattarsi al modello di flexicurity stanno raggiungendo livelli  di partecipazione molto più elevati degli altri. Per esempio, i paesi nordici, Germania, Gran Bretagna, Olanda e  Belgio hanno livelli di disoccupazione che sono inferiori rispetto alle previsioni perché offrono un approccio di flexicurity che soddisfa le esigenze dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro. Ma secondo lei come va applicata la flessicurezza? «A livello europeo sono stati definiti quattro componenti chiave della flexicurity: accordi contrattuali flessibili ed affidabili, strategie integrate di formazione permanente, efficaci politiche attive nel mercato del lavoro e sistemi moderni di sicurezza sociale. Le parti sociali, Eurociett e Uni-Europa, hanno sottolineato il ruolo importante del lavoro temporaneo e delle agenzie per il lavoro nelle politiche di flexicurity in una dichiarazione congiunta del 2007». Sarà anche vero, ma al di fuori di questi contesti formali mettere mano alle regole che disciplinano i rapporti fra impresa e lavoro è difficile se non impossibile. Il piano di salvataggio votato dal governo greco la scorsa settimana prevede tagli alle retribuzioni e licenziamenti più facili. Ma la Grecia è sull'orlo della rivolta. Se nemmeno sotto la minaccia della bancarotta è facile intervenire è  possibile liberalizzare il lavoro senza rischiare una rivoluzione? «Penso di sì.  la Grecia ha alcune sfide importanti da affrontare in questo momento, ma credo che sia possibile per il popolo greco capirne le motivazioni. La riforma del lavoro potrebbe avere un impatto positivo innescando contratti  meno rigidi.  A questo proposito è interessante notare che i paesi in cui il comparto delle agenzie per il lavoro è meno sviluppato sono quelli  con la più alta percentuale di lavoro sommerso, come la Grecia. E questa è stata una delle motivazioni che hanno spinto l'Italia a introdurre il lavoro temporaneo nel 1997». Da noi l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori impedisce di fatto i licenziamenti se non per giusta causa. I tentativi di abolirlo  finora sono falliti. Qual è la sua opinione al riguardo? «Il licenziamento non è l'unica questione da affrontare. L'Italia ha bisogno di guardare a una riforma del mercato del lavoro più ampia al fine di fornire flexicurity. Le agenzie per il lavoro se ben regolamentate potranno offrire un lavoro più flessibile, affidabile e massimizzare la partecipazione al mercato. I dati mostrano che più è alto il livello di penetrazione nel mercato delle agenzie, minore è il livello di disoccupazione di lunga durata, poiché le agenzie aiutano i lavoratori nella transizione dalla vecchia occupazione  che si è persa, alla nuova, dal lavoro temporaneo a quello a tempo pieno e da settori in declino verso settori in crescita». Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha annunciato proprio sulle pagine di Libero che il governo sta preparando una modifica profonda al mercato del lavoro. Dal suo osservatorio che si può ritenere privilegiato, cosa gli consiglierebbe? «Mi limito a  ribadire ciò che ho già detto: forme più flessibili di occupazione e  politiche complete di flexicurity. Così si viene a creare  una situazione win-win (un'espressione inglese che indica la presenza di soli vincitori, ndr) sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori. Se la direttiva europea sulle  agenzie del lavoro verrà  attuata bene in Italia, si produrrà un effetto importante:  crescerà la partecipazione al mercato del lavoro e ci sarà una maggiore corrispondenza tra offerta e domanda». Parliamo di disoccupati. Cosa consiglierebbe a un over 50 che abbia appena perso l'impiego? E a un giovane che sta cercando la prima occupazione? «Innanzitutto suggerirei  a entrambi di registrarsi presso un'agenzia per il lavoro. Potrebbe essere lo strumento per farli transitare dalla disoccupazione all'occupazione e poi, una volta nel mondo del lavoro, condurli verso i settori e le imprese in crescita che necessitano di nuovo personale. Riceveranno così anche una formazione professionale che li prepari ad occupare i posti  disponibili. Sono certa che avranno anche la possibilità di passare da un lavoro temporaneo a un contratto a tempo indeterminato. Nei paesi dove il settore delle agenzie per il lavoro è ben sviluppato, un terzo dei lavoratori “in somministrazione” trova un impiego stabile entro un anno. E non è poco». di Attilio Barbieri

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