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La cultura tecnica salverà il lavoro

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Il piano del ministro Gelmini: «Basta lauree senza sbocchi, le università dovranno parlare con le imprese

Michela Ravalico
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Sviluppare - di concerto con altri colleghi di governo - «un piano nazionale per lo sviluppo della cultura tecnica». È la risposta del ministro Mariastella Gelmini alle richieste delle aziende di profili professionali altamente specializzati e che arrivano dal mondo confindustriale e soprattutto da quello dell'artigianato. E la sfida, per la neomamma responsabile del dicastero dell'Istruzione, parte dalle scuole superiori. C'è da pensare al sostegno dell'orientamento, che riconosca il valore formativo del lavoro. Bisogna «sviluppare percorsi di aggiornamento per gli insegnanti, adeguare i programmi alle innovazioni scientifiche e tecnologiche e sviluppare la didattica inlaboratorio l'esperienza di stage e tirocini». Mentre per l'università già si  prevede «la semplificazione e la riduzione del numero dei corsi di laurea triennale che devo garantire salde conoscenze di metodo e contenuto». Con il ministro, Libero ha fatto il punto sul rapporto tra lavoro e istruzione, che in questo periodo di crisi si presenta più critico che mai. Ministro Gelmini, il tasso di occupazione (fonte Istat 2009) dei laureati è del 78%, dei diplomati del 67. Le retribuzioni dei laureati sono maggiori di quelle dei diplomati. La crisi, a suo parere, cambierà le carte in tavola? L'istruzione e la formazione sono gli unici strumenti in grado di innescare l'ascensore sociale e quindi favorire l'ingresso dei più giovani nel mondo del lavoro. E' necessario comunque che sia il sistema scolastico sia quello universitario si aprano al tessuto produttivo, alle piccole e medie imprese, contribuendo alla formazione di professionalità immediatamente spendibili. La laurea è uno strumento indispensabile, ma bisogna fare attenzione a non farlo diventare un pezzo di carta senza alcun valore. E' necessario, per scongiurare questo rischio, investire dunque soprattutto nella qualità. Penso che questo possa avvenire razionalizzando i piani di studio e l'offerta formativa degli atenei. Negli ultimi anni, infatti, abbiamo assistito a una moltiplicazione di corsi di laurea che non riescono a garantire sbocchi professionali perché non corrispondono alle reali esigenze del mercato del lavoro. Per questo motivo, già dallo scorso anno accademico, il  ministero distribuisce una parte delle risorse alla qualità della didattica degli atenei e dei progetti di ricerca. Gli atenei lo hanno capito e hanno cominciato a disattivare alcuni corsi fantasiosi. Pochi giorni fa sono stati comunicati i dati sulle iscrizioni alle scuole superiori. I nuovi indirizzi introdotti dalla riforma sono stati i più gettonati. Che segnale pensa che sia? I dati sono assolutamente positivi sia per i licei che per l'istruzione tecnica e professionale. In particolare, tra i licei gli studenti hanno dimostrato di apprezzare soprattutto l'indirizzo scientifico e quello delle scienze applicate. Sono andati bene anche i tecnici e professionali, indirizzi che sono stati completamente rivisti e razionalizzati per realizzare un collegamento sempre maggiore tra scuola e mondo del lavoro. Sui banchi di scuola e su quelli universitari si mettono quindi le basi per un avviamento al mondo del lavoro. Ministro, in questi giorni ha ribadito che bisogna avere il coraggio di cambiare il sistema universitario. Questo come deve avvenire? L'istruzione svolge un ruolo fondamentale nell'economia della conoscenza, perché sostiene la crescita dell'occupazione attraverso la formazione di profili qualificati. Un sistema efficiente, capace di premiare il merito e la qualità penso che non possa che favorire l'ingresso dei giovani nel mercato lavoro”. Meritocrazia è oggi in Italia un termine portatore di utopie? Quali sono i primi passi da compiere? Prima, con la riforma della scuola e poi con quella dell'Università, ho promosso delle innovazioni che puntano tutto su merito e qualità. La crisi rappresenta una straordinaria opportunità per fare riforme ispirate al principio del merito. E' un tema sul quale  - come è noto - ho richiamato l'attenzione fin dalla scorsa legislatura. Merito significa premiare le università che gestiscono bene le risorse. Merito significa legare gli avanzamenti di carriera degli insegnanti non solo in base all'anzianità di servizio, ma anche alla qualità della didattica e agli obiettivi raggiunti. Retribuzioni e titolo di studio: in questi giorni si parla di sacrifici, di necessità di “tirare la cinghia”.... Purtroppo, in questo biennio di crisi tutte le retribuzioni hanno subito una flessione. Abbiamo un tessuto produttivo caratterizzato da piccole e medie imprese che hanno bisogno di innovazione e di legami più stretti con la scuola e il territorio. Stiamo lavorando in questa direzione per ridurre l'abbandono scolastico e consolidare la formazione a tutti i livelli. Lo stage, oggi, è previsto dalle università come primo step di avviamento al lavoro. Secondo i dati a sua disposizione è uno strumento utile nelle mani dello studente? Lo stage è uno strumento che favorisce e consente un inserimento funzionale nel mondo del lavoro. Occorre, però, che sia flessibile e collegato al momento di ingresso. Il rischio è che da momento formativo diventi un lavoro non giustamente retribuito. Quali altri strumenti completano il rapporto scuola-lavoro? E' necessario che l'orientamento, i centri per l'impiego e le agenzie per il lavoro svolgano un ruolo fondamentale per avvicinare, anche in un'ottica di placement, le sedi dell'istruzione e della formazione al mercato del lavoro. Andare all'estero a studiare, oggi, conviene in termini di sbocchi professionali? La mobilità geografica è un'occasione di formazione, lavoro, crescita e sviluppo. La riforma dell'Università consentirà agli studenti di avere le stesse opportunità che possono incontrare negli atenei italiani. di Giulia Cazzaniga

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