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Mughini: l'Italia si salva solo con un bel vaffa a Grillo e grillini

Al Movimento 5 Stelle i voti non basteranno perché arrivato in Parlamento comincia il bello: devono dimostrare di saper fare politica...

Giulio Bucchi
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di Giampiero Mughini In politica i voti non fanno il monaco. Anche quando sono tanti, tantissimi, un numero strabiliante se pensi che sono stati ottenuti a forza di mandare messaggi sul web, senza spendere una lira, di certo senza avere avuto alcun contributo estratto dai soldi pagati dai contribuenti. Certo che sono tantissimi i voti affluiti al movimento di Beppe Grillo, voti arrivati da tutte le latitudini politiche, da tutte le delusioni, da tutte le rabbie, da tutti i vaffanculo. Voti ottenuti da pirotecniche prestazioni di quello che è con Adriano Celentano il maggiore showman in un Paese di pagliacci non professionisti. Voti ottenuti da quanto erano allo stato di coma i partiti tradizionali, da quanto era al di sotto di ogni sospetto la buona parte della classe dirigente di quei partiti. Voti che hanno aperto la strada del Parlamento a oltre 150 tra deputati e senatori del Movimento 5 Stelle, la più parte giovani e giovanissimi al loro debutto nella vita politica. Auguri.  Solo che adesso comincia il bello. Tutto il resto è stata finora una passeggiata, mera coreografia. Leggo dell'attuale sindaco di Parma, per l'appunto un grillino quanto di più doc, che si sta comportando bene. Nel senso che non fa danni alla comunità. A cominciare dal fatto che si è guardato bene dall'attuare uno solo dei reboanti annunci fatti in campagna elettorale. E dunque? E dunque ora la parola passa alla politica, al saper fare in politica, al saper «trattare» in politica.  È  quello «il monaco». Esattamente il contrario di quanto Grillo sta vociando e minacciando. «Non siamo in vendita» dice, e ci mancherebbe altro. «Non facciamo alleanze» dice, ed è una stupidaggine talmente stupida da lasciarti a bocca aperta. Che altro si fa in politica se non delle alleanze, che è altro è la democrazia se non la convergenza di forze che hanno storie e identità diverse? Ce lo possiamo permettere di stare ancora a ricordare l'abc imparato alla terza elementare, e questo nel momento in cui il Paese è al dramma e al rovinìo? Eppure è così. Pier Luigi Bersani si era presentato col cappello in mano e l'ineffabile Grillo lo ha sfanculato. E anche se sul fatidico web molti grillini dissentono dal loro capo carismatico. E qui siamo a un altro ingorgo della faccenda. Il Movimento 5 Stelle è un movimento reale, ciascuno con la sua storia e identità e collocazione regionale e valenza professionale? Oppure è una proprietà virtuale di Grillo e del suo «consigliori» Gianroberto Casaleggio, uno che tra parentesi è un personaggio letterario mica male, degno di figurare in un qualche eccellente romanzo «noir» francese? Se fosse buona la seconda che ho detto, staremmo in un bell'impiccio. Già abbiamo avuto a che fare, e per quasi 20 anni, con una forza politica che non era un partito e bensì una proprietà, dico il Polo delle libertà guidato da Silvio Berlusconi. Un partito è una realtà dove c'è un'articolazione delle idee, dei personaggi guida, delle opzioni politiche possibili. Nulla di tutto questo nella storia della coalizione di centro-destra che pure aveva vinto ben tre elezioni politiche. E a non dire dell'ultimissima campagna elettorale, quando gli unici segni di vita che provenivano dalla coalizione di centro-destra erano il risultato della respirazione bocca a bocca costituita dagli exploit televisivi e massmediatici di Berlusconi. Con Grillo pare di essere di nuovo a quello. A uno che parla e straparla con voce sempre rauca a nome e per conto dei milioni di elettori che lo hanno premiato, e a nome e per conto di quei ragazzi molto simpatici che lo rappresenteranno in Parlamento. Molti dei quali, tra l'altro, loro sì muniti di lauree e master e studi universitari. E ammesso che gli studi universitari abbiano mai pesato qualcosa nel determinare il valore di un destino politico. Non mi pare avessero chissà quali curriculum universitari tipini come Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, Bettino Craxi e François Mitterrand, e a non dire di Margaret Thatcher e Ronald Reagan. Torniamo al sodo. Se per tenere in moto la macchina della politica italiana  -  ovvero della governabilità minimale ed elementare del Paese - siano indispensabili i voti grillini. Detto così in generale, ovvio che no. Ci sono almeno tre forze politiche consistenti, il Pd di Bersani ma anche di Matteo Renzi, quel che resta della coalizione di centro-destra, quel buon dieci per cento di montiani o moderati o centristi o come altro li volete chiamare, che in punto di aritmetica potrebbero dare la maggioranza a un governo serio, responsabile, capace di non promettere nulla e invece fare le due o tre cose possibili a che la situazione economica non precipiti. Un governo di cui dovrebbero far parte ministri dai coglioni quadri, e non è che ce ne siano a bizzeffe. Di certo un governo che dovrebbe scalciare via le contese sul nulla di cui è stata fatta la nostra storia politica recente. Non ce le possiamo permettere quelle polemiche e quei penosi faccia a faccia televisivi. I disoccupati aumentano ora per ora, le imprese falliscono una dopo l'altra, le saracinesche di infiniti negozi restano chiuse al mattino, quello che una volta chiamavamo «ceto medio» arriva a fine mese lacerato e contuso. Certo non dipenderà dai «niet» di Grillo se la macchina politica italiana arrancasse fino a stopparsi. Sarà a quel punto la storia a dare il suo giudizio di una classe politica che ha portato l'Italia a una guerra e l'ha persa. Né più né meno che la guerra dichiarata da Benito Mussolini nel giugno 1940.  Ovvio poi che se il governo che io auspico si comportasse in maniera cialtrona e rumorosa e contraddittoria, allora si va di nuovo alle elezioni. E in quel caso di simpatici grillini ne arriveranno magari il doppio. Non so se a quel punto la penisola che sta ben dentro il Mediterraneo e sulla quale è maturata tanta parte della storia e della cultura del mondo, avrà ancora nome Italia.  

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