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Chef italiano morto in Kenya

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La famiglia vuole sapere la verità

Monica Rizzello
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«Mio fratello era una persona pulita, amava il suo lavoro, e non può essere morto così, abbandonato per una notte intera, in agonia, sulla spiaggia di un albergo extralusso, in un isolotto del Kenya sorvegliatissimo». Jessica Nicoletti, 38 anni, infermiera all'ospedale di Pesaro, è la sorella di Ivan Daniele Nicoletti, il cuoco pugliese di 30 anni morto in circostanze ancora misteriose la notte della vigilia di Natale nell'isola di Lamu, vicino all'albergo a 5 stelle Majlis Lamu Lux, dove aveva preso servizio il 12 dicembre. La donna si è rivolta ad alcuni quotidiani locali e ha scritto una lettera aperta al ministro degli Esteri, Franco Frattini, per chiedere che «lo Stato italiano faccia chiarezza su quanto è accaduto», e fornisca alla famiglia le risposte che lei sostiene di aver «inutilmente chiesto per giorni, per telefono e via e-mail, prima di dover anche pagare il rientro della salma di mio fratello in Italia, con una colletta fra amici e parenti per mettere insieme 4.700 euro». I familiari - i genitori, Gaetano e Paola, vivono a Lizzano (Taranto) e un altro fratello, Gianfranco, abita a Milano - sono stati avvertiti della morte di Ivan solo il 28 dicembre, da un collega del ragazzo, un certo Andrea, pure lui chef nell'hotel kenyota. «Solo dopo vari tentativi con la Farnesina e poi l'Ambasciata in Kenya - racconta Jessica Nicoletti - sono riuscita a contattare l'albergo, per sentirmi rispondere dal direttore solo che sì, mio fratello era deceduto». Secondo una versione dei fatti tutta da confermare, finito il turno di lavoro, Ivan e Andrea sarebbero andati in un locale a bere qualcosa, si sarebbero sentiti male e poi Ivan sarebbe morto, sulla spiaggia. «Avevo chiesto che l'autopsia venisse fatta in Italia - lamenta la sorella - ma l'hanno fatta in Kenya, e ci hanno restituito il cadavere di Ivan imbalsamato in una bara, su un volo atterrato a Milano il 31 dicembre». Il referto dell'esame autoptico indica «un edema polmonare con blocco del ventricolo sinistro, ed esclude la presenza di alcol o droga». Le autorità kenyote hanno aperto un'inchiesta, e la famiglia dello chef ha preso contatti con un avvocato, «ma non abbiamo soldi - spiega l'infermiera - per fare tutto da soli». «Voglio sapere cosa è successo in quel posto» insiste Jessica. «La passione di mio fratello erano i viaggi, il lavoro, che lo aveva portato a lungo in Spagna, le lingue. Scriveva poesie, e molte volte apriva la sua giornata su Facebook con una citazione di Shakespeare»

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