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Ciancimino: " Rapporti diretti tra Dell'Utri e Provenzano"

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Il figlio del boss mafioso depone al processo Mori: " Servì a catturare Riina"

Maria Acqua Simi
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«Mio padre mi disse che c'erano rapporti diretti tra Bernardo Provenzano e Marcello Dell'Utri. Glielo riferì lo stesso Provenzano». Lo ha detto Massimo Ciancimino in aula al processo Mori. Massimo Ciancimino, figlio del più noto sindaco di Palermo condannato per mafia, sta deponendo in questo momento al  processo per favoreggiamento agli ufficiali dell'Arma Mario Mori e Mauro Obinu. "Conosco Provenzano da sempre. Ho ricordi di lui, nelle mie villeggiature estive negli anni '70, fin da quando ero un ragazzo. Lui e mio padre si conoscevano, anche per rapporti di vicinato, da sempre". Il testimone, che ha detto di avere conosciuto il capomafia con il nome di "ingegner Lo Verde", ha  ricordato che il padre lo rimproverava di avere risposto male al boss di Corleone, quando era ragazzino, dicendogli: "Tu sei l'unico che è riuscito a dire cornuto a Provenzano". Il racconto prosegue: "Avevo saputo da mio padre che Provenzano godeva di una sorta di immunità territoriale che gli permetteva di muoversi liberamente durante la sua latitanza grazie a un accordo che aveva stipulato mio padre stesso". I periodo a cui fa riferimento è il maggio del 1992, cioè pochi giorni prima della strage di Capaci e via D'Amelio. "Scoprii che la persona che conoscevo come signor "Lo Verde" era Bernardo Provenzano negli anni Ottanta mentre mi trovavo dal barbiere a Palermo. Sfogliando una rivista, mi pare Epoca, vidi una sua foto e nella didascalia c'era scritto che si trttava del boss latitante Bernardo Provengano. Quando ne parlai con mio padre, lui mi disse: 'Stai attento con il signor Lo Verde, perché da questa situazione non ti salva nessuno. Mio padre dava a Provenzano del tu, mentre lui chiamava mio padre ingegnere, anche se in realtà gli mancavano due materie alla laurea". «Quando Provenzano scrive 'Il nostro amico sen.' si riferiva a Dell'Utri», ha spiegato poi il figlio dell'ex sindaco. Poi, parlando ancora del pizzino in cui c'è scritto «ho spiegato che loro non possono fare questi provvedimenti con l'amnistia, quando governano loro» - ha spiegato che «l'amnistia era un'idea fissa di mio padre, lo aveva detto al 'signor Franco' (figura dei servizi segreti, ndr.) e anche a Lo Verde (Provenzano, ndr) che certi provvedimenti di clemenza non potevano essere effettuati da un governo di destra ma di sinistra: diceva che quelli di destra non acconsentivano a questo tipo di leggi». Dell'Utri sostituì mio padre-  "Fu Marcello Dell'Utri a sostituire mio padre dopo che i carabinieri avevano dettato le condizioni per farlo arrestare". Lo ha detto Massimo Ciancimino, riferimendosi al personaggio che avrebbe condotto la trattativa tra Stato e Cosa Nostra nell'ultima fase dopo che suo padre, il 19 dicembre del 1992, venne arrestato. Rispondendo al pm Di Matteo nell'aula bunker dell'Ucciardone di Palermo al processo Mori, Ciancimino ha affermato che "la storia del passaporto "fu organizzata apposta per farlo catturare". Vito Ciancimino aveva infatti cheisto il passaporto tra ottobre e novembre del 1992 perchè aveva progettato di andare a trovare Provenzano all'estero. Quando il pm ha chiesto però come mai il padre volesse questo documento quando ne aveva già altri, tra cui un passaporto falso che gli sarebbe stato fornito dai servizi segreti, Massimo Ciancimino non ha dato spiegazioni e ha parlato di "trappola" da parte dei carabinieri. Il teste ha aggiunto poi: "Non perquisire la casa di Riina fu una parte della trattativa, voluta espressamente da mio padre". La cattura di Riina - «Mio padre mi disse di avere informato i carabinieri che se si voleva catturare Riina si doveva utilizzare Provenzano», ha detto Massimo Ciancimino. Il testimone ha raccontato che dopo la strage in cui venne ucciso il giudice Borsellino la trattativa, intrapresa con i carabinieri del Ros dopo l'eccidio del magistrato Giovanni Falcone, cambiò interlocutori e oggetto. «L'uccisione di Borsellino - ha spiegato - convinse mio padre che con Riina non si poteva trattare. A quel punto decise di riprendere i contatti con i carabinieri, prima finalizzati a ottenere la resa dei latitanti di mafia, e a spostare l'oggetto dell'accordo sull'arresto di Riina». Per mio padre la mancata perquisizione del covo fu una sorta di onore alle armi per il capomafia Secondo Ciancimino il padre avvertì Mori, all'epoca vice comandate del Ros, che l'obiettivo dell'arresto del padrino di Corleone si poteva raggiungere solo col contributo di Provenzano che diventa l'elemento chiave di quella che il testimone indica come la seconda fase della trattativa.La mancata perquisizione del covo del boss mafioso Totò Riina sarebbe stata concordata dai Carabinieri. Ciancimino junior ne aveva parlato con il padre in uno dei colloqui in carcere: «Per mio padre la mancata perquisizione del covo fu una sorta di onore alle armi per il capomafia». Ed è sempre Massimo Ciancimino a raccontare che il padre gli raccontò che «Riina si vantava sempre che nel momento in cui avessero lo avessero arrestato e avessero perquisito il covo, avrebbero trovato tanta di quella documentazione da fare crollare l'Italia». Una circostanza appresa dal padre in carcere.  Sulla mancata perquisizione del covo del boss mafioso Riina, dopo la sua cattura, avvenuta il 15 gennaio del 1993, Ciancimino dice ancora: «Per l'arresto di Riina i Carabinieri avevano avuto un atteggiamento di rispetto per la sua famiglia che doveva essere messa nelle condizioni di potere raggiungere il suo paese (Corleone ndr)». Dopo la strage di via D'Amelio mio padre mi disse: se questo è capitato è anche colpa nostra Strage di via D'Amelio-  Vito Ciancimino si sentiva indirettamente responsabile della strage di via D'Amelio, in cui morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. "Mi trovavo a Roma, quando appresi dalla tv della strage. Mio padre si sentiva, anche se indirettamente responsabile, dell'ennesima strage. "Se questo è capitatato è anche colpa nostra", mi disse", ha deposto Massimo Ciancimino. Dopo la strage di via D'Amelio sarebbe ripresa la «trattativa» tra lo Stato e Cosa nostra, ha proseguito Massimo Ciancimino nella sua deposizione.  "Mio padre mi disse che, per riuscire a catturare Totò Riina, i carabinieri avevano bisogno di Bernardo Provenzano. Nel momento in cui si percepisce la ferocia di Cosa nostra, mio padre reputa interrotto qualsiasi tipo di rapporto con Riina. Ma intorno al 22 agosto mio padre mi dice di riprendere i contatti con i carabinieri. L'incontro avviene nel suo appartamento di Roma tra il 25 e il 26 agosto, e ho un documento che ne prova il riscontro. Cambia totalmente l'oggetto del dialogo rispetto alla prima trattativa", ricorda Ciancimino jr. "In quel caso era una proposta iniziale delle istituzioni di possibili benefici verso i familiari e un atteggiamento più morbido verso i latitanti. La seconda fase è più operativa: dalla resa dei latitanti si passa alla volontà di catturare Riina. Non catturare Provenzano, perché era un interlocutore privilegiato di mio padre e loro sapevano che per potere giungere a Riina avevano bisogno di mio padre". Servizi segreti- "Mio padre ha intrattenuto rapporti con alcuni appartenenti ai servizi segreti, come mi fu confermato da mio padre stesso. In particolare aveva rapporti con il 'signor Francò o 'signor Carlò, un rapporto datato, come quello con il signor Lo Verde (Provenzano ndr), un rapporto che di fatto era stato consolidato da mio padre quando Restivo era ministro dell'Interno". "Mio padre disse che i rapporti erano nati quando Restivo era ministro dell'Interno - ha proseguito - Con il signor Franco il rapporto era nato negli anni Settanta, io ero ancora ragazzino. Era uno dei cinque-sei personaggi che aveva accesso alla linea riservata o che poteva arrivare a casa senza appuntamento". "Mio padre ebbe dei contatti con lui - ha spiegato - fino a poco tempo prima di morire". Mio padre ha intrattenuto rapporti con alcuni appartenenti ai servizi segreti, come mi fu confermato da mio padre stesso Milano 2- La mafia investì in "una grande realizzazione alla periferia di Milano che è stata poi chiamata Milano 2". Ciancimino junior racconta in aula di aver acquisito queste informazioni sia direttamente dal padre sia attraverso la lettura di agende e documenti dello stesso genitore. "Insieme avremmo dovuto fare un memoriale per questo gli chiedevo sempre chiarimenti su qualcosa che ritenevo interessante". I ministri Rognoni e Mancino, nel '92, erano informati del fatto che i carabinieri del Ros stessero cercando una linea di trattativa con i boss di Cosa Nostra. Il fatto è stato ribadito da Massimo Ciancimino, il figlio dell'ex sindaco di Palermo, nel corso del processo a carico dei generali Mario Mori e Mauro Obinu. "Del fatto che a Roma, i politici sapessero - ha continuato Ciancimino jr - a mio padre lo disse 'Franco Carlo' (agente deviato dei servizi segreti che ancora non è stato identificato)".  Ma ai carabinieri lo disse? A Mori lo disse? Chiede il pm Antonino Di Matteo. "Certo, certo", risponde. Sui "termini dell'offerta", come li definisce il magistrato, fatta dallo Stato ai boss, Ciancimino jr ha spiegato: "Ho saputo che si voleva la resa dei capimafia, la consegna dei latitanti storici, in cambio di benefici per i familiari".

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