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Come trasformare un trionfo in farsa

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Si moltiplicano gli errori in una campagna elettorale che si annunciava vincente

Albina Perri
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L'ultima chicca arriva a 96 km di distanza da quel tribunale di Roma in cui si è consumato il pasticciaccio brutto dell'esclusione del PdL dalle regionali 2010 in Lazio. A Viterbo il PdL è pronto a ricorrere al Tar contro il candidato PdL alla presidenza della provincia, Marcello Meroi. Lo accusano di avere siglato l'ultima notte possibile, all'insaputa dei vertici del partito, un apparentamento con l'Udc. Il mattino dopo gliene hanno dette di tutti i colori, perché a Viterbo in casa PdL l'Udc è vista peggio del partito di Antonio Di Pietro. Dove non fa guai l'incapacità dei propri dirigenti e la confusione totale di ruoli e decisioni, a complicare la vita al PdL ci si mette pure una certa iella Poi il partito di Meroi ha fatto ricorso contro Meroi alla commissione elettorale provinciale. E l'ha perso. Ora 21 candidati della lista PdL sono pronti a dimettersi, con il risultato di escludere per guerra intestina il partito dalle provinciali. Sarà un caso periferico, ma a specchiarsi lì è proprio lo stesso partito che pasticciaccio dopo pasticciaccio rischia di restare escluso dalla competizione elettorale in Lazio e forse anche in Lombardia (dove qualche speranza in più resta).   Dove non fa guai l'incapacità dei propri dirigenti e la confusione totale di ruoli e decisioni, a complicare la vita al PdL ci si mette pure una certa iella. Lontani mille miglia dall'immaginare quel che avrebbe combinato il proprio presentatore di lista a Roma, Alfredo Milioni, lo stato maggiore del PdL poche ore prima dell'incidente si è riunito in via dell'Umiltà proprio per decidere la migliore strategia elettorale in Lazio. Da qualcuno era arrivata la proposta di unire al nome di Renata Polverini (che ha sempre avuto rispetto a Emma Bonino un deficit di notorietà) il simbolo già disegnato con i colori del PdL e la scritta “Berlusconi per Polverini”. La gaffe In riunione si è alzato uno dei dirigenti azzurri e ha lanciato l'allarme: “già, così tiriamo il voto alla Polverini e rischiamo di portarne via al partito! Bel capolavoro!”. Applausi degli astanti e accantonata un'ipotesi che oggi invece servirebbe come il pane se i vari ricorsi contro l'esclusione del PdL a Roma dovessero fare un buco nell'acqua. Perché gli elettori tifosi del Cavaliere a Roma e provincia (quindi nella maggiore parte del Lazio) non troveranno sulla scheda elettorale né simboli né slogan che possano portare a Berlusconi. E con le tv (il maggiore mezzo di comunicazione) di fatto escluse dalla campagna elettorale, l'handicap potrebbe rivelarsi insuperabile. Eppure dall'attentato della Madonnina di cui Silvio Berlusconi è stato vittima prima di Natale alla data fatidica del deposito delle liste di candidati per la tornata delle regionali e amministrative nel PdL è sembrata dilagare quella sindrome di Tafazzi celebre per essere da anni la malattia principale del centro-sinistra In Lombardia dove la disfatta sarebbe totale con l'esclusione non solo di Roberto Formigoni e della sua lista, ma di tutti i simboli collegati, c'è ancora qualche robusta speranza. I radicali avrebbero vinto una battaglia giuridica, ma secondo gli sconfitti errori veri non ce ne sono stati e le frecce al loro arco sono in grado di capovolgere l'esito della contesa. Per questo non si sono aperti processi, anche se lo choc dell'elettorato è già grande lì, nella roccaforte PdL dove rischi del genere non bisognerebbe proprio prendersi. Eppure dall'attentato della Madonnina di cui Silvio Berlusconi è stato vittima prima di Natale alla data fatidica del deposito delle liste di candidati per la tornata delle regionali e amministrative nel PdL è sembrata dilagare quella sindrome di Tafazzi celebre per essere da anni la malattia principale del centro-sinistra. E se a Natale la popolarità del presidente del Consiglio e della sua maggioranza era tornata a livelli altissimi, il caos delle regionali in poche settimane l'ha picconata e non poco. Il Cavaliere ha lasciato le briglia sciolte ai suoi colonnelli, di tanto in tanto è tornato ad occuparsene in prima persona, ha reso pubblici i suoi orientamenti, poi si è ritirato e i suoi hanno continuato a fare come volevano in ogni piazza. Con il risultato di fare sembrare la campagna elettorale del centro destra una maionese impazzita. Confusione al centro Si pensi all'altalena dei rapporti con l'Udc di Pierferdinando Casini (quella che ha scatenato il grottesco caso di Viterbo). Il Cavaliere prima ha accarezzato quel matrimonio, poi l'ha maledetto pubblicamente. Più o meno negli stessi giorni in cui la Polverini si apparentava all'Udc nel Lazio e i dirigenti campani e calabresi preparavano le stesse nozze. In Campania il Cavaliere ha tenuto duro su Nicola Cosentino. Poi ha mollato la presa e appoggiato la candidatura più scolorita ma non sgradita di Stefano Caldoro. Cosentino ha avuto certezza di potersi muovere su candidature locali, ma a Caserta è stato smentito dal suo partito che senza dirglielo aveva concesso all'Udc la presidenza della provincia. Caos, dimissioni di Cosentino, intervento di Berlusconi, ri-immissione di Cosentino. E l'elettorato non ha capito granchè. Non è andata diversamente in Puglia, dove a poche ore dalla ufficializzazione della candidatura di Rocco Palese, proprio Berlusconi se ne è uscito pubblicamente con l'annuncio di una candidatura del magistrato Stefano Dambruoso. Poi il Cavaliere ha abbozzato, pure facendo circolare perplessità su Palese. Il giorno dopo ne ha chiesto il ritiro volontario dalla competizione insieme ad Adriana Poli Bortone per scegliere insieme il candidato migliore per battere Nichi Vendola. Di fronte al no più o meno chiaro dei protagonisti, dopo averlo azzoppato il cavaliere ha puntato su Palese “che è il migliore candidato possibile e vincerà”. Fra tira e molla, candidature decise in privato e tenute nascioste ai vertici del partito, pasticciacci burocratici che anche un bimbo avrebbe saputo evitare, il partito più amato dagli italiani è riuscito fin qui soprattutto a picconare un patrimonio che sembrava impossibile da dilapidare. C'è ancora un mese di campagna elettorale. Per finire il pasticcio o recuperare quel che si può.

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