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"Sei un deficiente!"

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Per la Cassazione dirlo al proprio figlio non è reato

Massimiliana Parigi
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Rivolgersi ai proprio figlio con epiteti come “deficiente” può non essere carino, ma non costituisce reato. Lo stabilisce in maniera definitiva la Cassazione, annullando con rinvio un'ordinanza con cui il tribunale del Riesame di Bologna aveva applicato la misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare a un padre, accusato di maltrattamenti in famiglia. L'uomo non solo non poteva più tornare nella sua casa in provincia di Ferrara, ma aveva anche il divieto di avvicinarsi alla scuola frequentata dai suoi due figli. Da quanto è emerso dalla sentenza, uno dei bambini soffriva di crisi epilettiche, ed entrambi di “disturbi iperattivi”. I Carabinieri avevano aperto le indagini sul padre a seguito della denuncia di una delle mamme di alcuni compagni di scuola dei due bimbi, e si erano basati sulla testimonianza di un vicino di casa, il quale aveva raccontato di aver sentito l'indagato urlare la parola "deficienti" ai figli. Per la Corte Suprema, il Riesame ha adottato una valutazione "contraddittoria", che "nell'intento dichiarato di tutelare i minori da comportamenti come quello descritto dal teste, allontana il genitore dall'ambiente familiare senza tenere conto delle ripercussioni che ne derivano sull'assetto affettivo e organizzativo della stessa famiglia, non apparendo peraltro giustificabile, sotto il profilo cautelare, il mantenimento del divieto per l'indagato di avvicinarsi all'istituto scolastico frequentato dai figli".

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