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Processo amianto, dirigenti Eternit condannati per omicidio colposo

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"Buttavamo gli scarti di amianto nel Po. È dal 1907 che è così". Anche la Bresso chiamata a testimoniare

Monica Rizzello
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Il processo - Il giudice di Palermo, Gianfranco Criscione, ha condannato per omicidio colposo plurimo e lesioni gravissime tre ex dirigenti della Ficantieri - Luciano Lemetti, Giuseppe Cortesi e Antonio Cipponeri - per le morti da amianto nell'azienda palermitana. Lemetti ha avuto 7 anni e 6 mesi, Cortesi 6 anni e Cipponeri 3 anni. Tre anni sono stati condonati a tutti e tre gli imputati. Gli ex vertici di Fincantieri sono stati condannati a risarcimenti milionari nei confronti dell'Inail, costituita parte civile. Il giudice ha condannato gli imputati a risarcimenti milionari anche nei confronti della Camera del Lavoro, di Legambiente e della Fiom. La sentenza ha anche stabilito il diritto al risarcimento del danno alle parti civili costituite - in tutto 50 tra dipendenti ammalati ed eredi degli operai defunti - rinviando la quantificazione del danno al giudice civile ma condannando, comunque, gli imputati a dare provvisionali immediatamente esecutive per centinaia di migliaia di euro alle parti danneggiate. Il giudice, infine, ha dichiarato non doversi procedere per due ex legali rappresentanti di ditte dell'indotto di Fincantieri - la Blascoanc srl e la cooperative Rinascita Pizzettini - per intervenuta prescrizione delle accuse a loro contestate: entrambi rispondevano di lesioni gravissime. Al centro del processo la morte di 37 operai deceduti per tumore ai polmoni, a causa dall'inalazione delle fibre di amianto, ma anche le lesioni riportate da altri 26 dipendenti che hanno contratto la malattia. I parenti delle vittime - «Siamo contenti, non per il risarcimento del danno: dei soldi non ci importa nulla. Ma con la condanna al carcere degli ex dirigenti di Fincantieri mio padre ora ha avuto giustizia. Speriamo solo che serva per il futuro». A parlare è Anna Maria Arcoleo, figlia di Michele, uno degli operai della Fincantieri di Palermo morto di cancro per avere inalato le fibra di amianto con cui era quotidianamente a contatto per lavoro. La donna si è costituita parte civile, insieme alla madre e a sette fratelli, attraverso l'avvocato Fabio Lanfranca, nel processo a tre ex dirigenti della Fincantieri condannati per le morti da amianto nell'azienda. «Mio padre - ha detto la Arcoleo - ci diceva che lavoravano senza nessuna precauzione e che temeva che non ne sarebbe uscito vivo». Soddisfatto anche l'avvocato Lanfranca. «Questa sentenza - dice - riconosce che i dirigenti della Fincantieri non hanno tutelato gli operai utilizzando per anni un materiale a basso costo come l'amianto, pur sapendo, che era pericoloso per la salute, fin quando la legge glielo ha di fatto impedito». La Eternit ci spiava - Nel corso del dibattimento, inoltre, Bruno Pesce, presidente dell'associazione “Famigliari vittime dell'amianto”, intervenuto in tribunale e Torino nella veste di terzo testimone del maxi processo contro i vertici della multinazionale svizzera, ha spiegato che «eravamo spiati» dalla Eternit. Pesce ha raccontato che negli anni Novanta il suo comitato era «spiato tramite una società di Milano che aveva referenti a Casale», e ha citato, in particolare, il caso di una giornalista freelance: «Voleva seguire tutte le nostre riunioni, e ci chiedeva di continuo quali sarebbero state le nostre mosse». Pesce ha detto anche che la giornalista era così «insistente» da destare delle perplessità, ma che lei si giustificava dicendo «io sono dei vostri». Come poi è emerso dalle domande del pm Sara Panelli, però, negli atti ci sono le tracce delle relazioni che venivano poi trasmesse alla Eternit dalla società di Milano che la giornalista aveva per riferimento. Gli scarti di amianto buttati nel Po - Ma la testimonianza che più ha sconvolto i presenti è quella di un operario dell'azienda, che rivela: "Buttavamo gli scarti di amianto nel fiume Po ogni sabato. Ogni settimana si vuotava il residuo di amianto e cemento che c'era dentro i recuperatori e poi gettavamo tutto nel Po. È dal 1907 che è così. Materiale caricato su autobotti. Una quantità enorme". A parlare è Ezio Buffa, operaio presso la Eternit dal '54 al '78. Interrogato dal pm Sara Panelli, il teste spiega come veniva effettuata la manutenzione e pulizia dei macchinari all'interno dello stabilimento Eternit di Casale Monferrato. La diffusione di materiale amiantifero dentro e fuori la fabbrica, attraverso persone e ambiente, rientra nel capo d'imputazione di disastro doloso che l'accusa contesta allo svizzero Stephan Schmideiny e al barone belga Jean Luis Marie Ghislain De Cartier. Entrambi devono rispondere anche di rimozione volontaria di cautele. La pulizia della fabbrica - Sempre l'operaio ha spiegato che "tutti i giorni lavavamo il pavimento su cui si fermava il polverino, poi buttavamo tutto nel canale che andava nel fiume". Ma ha specificato che "era una ditta esterna che lo faceva". Il pavimento su cui depositava la polvere "lo scopavamo con la scopa di saggina: c'era amianto dappertutto. Ma non potevi spazzare ovunque - ha spiegato - c'erano molti materiali accatastati sul pavimento, non si passava. Avevano comprato quattro o cinque muletti a gasolio per pulire, si immagini il fumo dentro la fabbrica. E chi era addetto alle pulizie, beh, son morti tutti". Non solo fare le pulizie in fabbrica era un compito pericoloso, ma anche la pausa pranzo non metteva in salvo i lavorati Eternit. Prima che venisse costruita la mensa, infatti, "si mangiava in fabbrica". Gli operai andavano a casa con le tute da lavoro sporche addosso e le mogli le lavavano: "Anche mia moglie si è presa l'asbestosi - ha detto Buffa - ha lavorato anche lei in Eternit per 12 anni. Alla fine le ho detto, stai a casa che qua di martiri ne basta uno". Ad Ezio Buffa è stata diagnosticata l'asbestosi nel 1970. Guariniello gli ha chiesto: "Ma ha continuato a fare lo stesso lavoro a contatto con l'amianto fino al '78, anno delle sue dimissioni?" "Nella nuova mansione ero più a contatto con l'amianto che prima e anche gli altri erano nella mia situazione" è stata la risposta di Buffa. Anche Mercedes Bresso chiamata a testimoniare - La Procura di Torino chiamerà l'ex presidente della Regione Mercedes Bresso a testimoniare, come teste dell'accusa, al processo Eternit in corso a Torino. Ad annunciarlo è stato il pm Raffaele Guariniello al termine dell'udienza di questa mattina e la Bresso potrebbe essere sentita già nella prossima udienza e insieme ai sindaci di Casale Monferrato e Cavagnolo. La Procura intende ascoltarla come testimone in relazione alle questioni di inquinamento ambientale legata alla multinazionale dell'amianto, e non è escluso che la Procura chiami anche il neo governatore del Piemonte Roberto Cota. Intanto, nell'udienza di questa mattina dopo l'ex segretario della Camera del lavoro di Casale e fondatore dell'Associazione famigliari vittime dell'amianto Bruno Pesce, è stato sentito come teste un ex dipendente della Eternit di Casale Monferrato affetto da asbestosi conclamata al 76%. L'ex operaio ha confermato quanto riferito dai testi sentiti finora, che il problema dell'amianto "era sottovalutato dall'azienda e chi sollevava la questione si sentiva dire «pelandrone, non hai voglia di lavorare»". Il teste ha inoltre riferito che fino agli anni '70 "non si era mai parlato né di asbestosi né di mesotelioma" e ha confermato che quando veniva fatta la pulizia delle macchine i residui "venivano buttati nelle fognature e nel Po".

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