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Museo della mafia di Salemi: via la foto dei cugini Salvo

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Sgarbi risponde: «Io non toglierò quella pagina di giornale»

Tatiana Necchi
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Via la foto dal museo. «L'avvocato degli eredi di Nino Salvo ha chiesto di togliere dal Museo della Mafia la prima pagina del giornale L'Ora con la notizia e la foto dell'arresto degli esattori di Salemi. Mi è arrivata un'ingiunzione del tribunale, ma io non toglierò quella pagina di giornale». Questa è la frase che il sindaco di Salemi, Vittorio Sgarbi, ha pronunciato dopo la cerimonia di inaugurazione del museo.  Insomma "Leonardo Sciascia" ha appena aperto i battenti ma si trova già ad affrontare una situazione difficile. A chiedere la rimozione della fotografia è stata la vedova di Nino perché, nonostante fosse imputato al maxi processo, non è stato mai condannato.  Salvo, infatti, è morto prima della sentenza definitiva per un tumore. Oggi c'è stata l'inaugurazione. La decisione della rimozione è stata presa dal giudice Matteo Giacalone del Tribunale di Marsala, in provicncia di Trapani, che ha firmato un provvedimento arrivato a nella cittadina siciliana proprio nel giorno dell'arrivo del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha inaugurato il museo. Sgarbi, però, sostiene che non può essere censurato e quindi non vuole toglierla. Il primo cittadino è stato invitato il prossimo 17 maggio in tribunale. Ma lui risponde: «Non ci vado, non ci penso proprio». All'inaugurazione era presente anche il ministro della Difesa Ignazio La Russa. I cugini Ignazio e Antonino Salvo sono stati due imprenditori, esponenti politici aderenti alla Democrazia Cristiana e uomini d'onore della famiglia mafiosa di Salemi. Della loro vita si parla congiuntamente, dato che vengono soprannominati "i cugini Salvo". Ignazio e Nino erano chiamati anche "gli Esattori" ma più spesso "i Viceré": i due gestivano in regime di monopolio le esattorie siciliane e possedevano a Palermo l'Hotel Zagarella che ha ospitato Giulio Andreotti e vari boss siciliani. Nel luglio 1960 Ignazio Salvo divenne presidente della SAGAP (Società per Azioni Gestione Appalti Pubblici).  I cugini Salvo divennero legatissimi ai boss Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti e ai politici Salvo Lima e Vito Ciancimino. Dopo l'uccisione di Bontade nel 1981, Nino ed Ignazio passarono alle dipendenze dei corleonesi di Totò Riina, che stavano scatenando una seconda guerra di mafia all'interno di Cosa Nostra. Sono stati accusati di associazione mafiosa. Il 12 novembre 1984 il giudice Giovanni Falcone chiese ed ottenne l'arresto dei cugini Salvo con l'accusa di associazione di tipo mafioso. Nino Salvo però morì in una clinica di Bellinzona il 19 gennaio 1986 per un tumore. Non si era ancora concluso il maxiprocesso di Palermo. Molti giornalisti sostennero che Salvo aveva inscenato la morte ed era fuggito in Brasile. Ignazio Salvo fu condannato per associazione mafiosa, ma venne ucciso mentre stava entrando nel cancello della sua abitazione il 17 settembre 1992. Ad ordinare la sua morte fu Totò Riina ed il motivo dell'assassinio fu lo stesso di Salvo Lima: non aver saputo modificare in Cassazione la sentenza del maxiprocesso che condannò Riina all'ergastolo.

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