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Kirghizistan, il governo provvisorio chiede aiuto a Mosca

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Disordini nel sud, 65 i morti. Il Cremlino: niente truppe, solo aiuti umanitari

Paolo Franzoso
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Non si placano i disordini incominciati nella notte del 10 giugno in Kirghizistan: il bilancio si aggrava di ora in ora e l'ultimo bollettino parla di 65 persone che hanno perso la vita e un numero dei feriti in costante crescita (almeno 850 feriti). Il governo provvisorio aveva dichiarato fin da subito lo stato d'emergenza e inviato l'esercito con i carri armati. Finora non è servito a nulla. Non è bastato nemmeno ordinare il coprifuoco. Si tenta il possibile per contenere la protesta iniziata - sembra - a causa del conflitto etnico nella regione meridionale di Och fra uzbeki e kirghizi. Allora non resta che mettersi nelle mani del vecchio alleato (padrone). Situazione fuori controllo, ammette il presidente a interim, che chiede l'assistenza militare di Mosca per soffocare la rivolta. Niente da fare, però: il Cremlino non è disposto a inviare truppe e si limita a promettere un aiuto umanitario. Per fermare la violenza, le autorità del Kirghizistan hanno chiesto a tutti gli ufficiali della polizia e dell'esercito già congedati di recarsi nella zona per aiutare a "impedire la guerra civile". "Il governo provvisorio kirghiso invita gli ufficiali di polizia e i soldati in pensione a contribuire alla stabilizzazione della situazione ad Och", ha dichiarato alla televisione nazionale un responsabile del governo, Azimbek Beknazarov.  "Le autorità - ha aggiunto - saranno riconoscenti verso tutti i volontari che sono pronti ad aiutare a prevenire la guerra civile nel sud del Kirghizistan". La mossa del governo per contrastare i disordini incessanti è stata giocata perché "i poliziotti e i soldati dispiegati sul posto crollano già per la stanchezza, dormono sulle strade che sorvegliano". Di questo passo l'esercito resterà in balia dei facinorosi. I disordini sembrano riconducibili a contrasti etnici sorti a Och - seconda città dello stato post-sovietico – dove si stanno consumando sparatorie e raid contro negozi e automobili da parte di bande di giovani armati di bastoni e sassi. In realtà la situazione è molto più complessa. Lo scorso aprile, proteste politiche avevano causato la caduta del presidente Kurmanbek Bakiev, rifugiato ora in Bielorussia, e il 27 giugno si vota un referendum per cambiare la costituzione. Le autorità provvisorie negano motivazioni politiche alla base della violenza, E collegano la violenza agli attriti fra i due gruppi etnici della regione, kirghizi e uzbeki. Ora nessuno lo ammette, ma è in corso qualcosa di molto simile a una guerra civile.

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