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Fini, lo sbloccacricca

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Una piscina mai finita e ora abbandonata: per questa la segretaria di Gianfranco si è data da fare, "sganciando" un milione e mezzo all'imprenditore (che rideva del terremoto). Adesso indagano i pm

Tatiana Necchi
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di Franco Bechis - La presidenza della Camera dei deputati rischia di essersi trasformata in un comitato affari, più o meno privati. Prima l'episodio della convocazione a palazzo del dirigente Rai Guido Paglia il 18 novembre 2008, chiamato da Gianfranco Fini per chiedere alla tv di Stato commesse in favore del cognato (presente all'incontro), Giancarlo Tulliani. Poi le strane visite di Francesco De Vito Piscicelli che almeno due volte ha ottenuto fra novembre e gennaio scorsi un passi per la presidenza della Camera per ottenere (e ci è riuscito) dallo staff di Fini pressioni per un pagamento da 1,5 milioni di euro a cui non aveva diritto. Secondo l'inchiesta della procura di Firenze che ha sollevato il velo sulla cricca degli appalti pubblici quel pagamento a saldo di quella che gli inquirenti definiscono una «truffa ai danni dello Stato» non sarebbe mai stato ottenuto da Piscicelli senza l'intervento decisivo della segretaria personale di Fini, Rita Marino. Naturalmente la presidenza della Camera non aveva alcun ruolo istituzionale negli appalti per i mondiali di Nuoto, e quindi non c'era alcun motivo di bussare a quella porta per ottenerne i pagamenti. Se Piscicelli - l'imprenditore della cricca che nella notte del terremoto de l'Aquila rideva al telefono con il cognato pensando ai ricchi appalti in arrivo - si è rivolto allo staff di Fini è proprio perché conosceva la trasformazione della presidenza della Camera in ufficio disbrigo affari correnti. Secondo gli inquirenti, che stanno indagando anche su altri episodi e altre intercettazioni telefoniche, Piscicelli lì ha bussato speranzoso di risolvere i suoi problemi perché già in altre occasioni si era rivolto ai fedelissimi di Fini per le proprie questioni. È  evidente per altro che la segretaria del presidente della Camera non si sarebbe mai attivata con tanta passione e solerzia per un illustre sconosciuto. Il tono stesso delle telefonate indica una pregressa conoscenza fra i due. È  possibile che né Fini né il suo staff fossero a conoscenza dell'indagine in corso che avrebbe imposto di non procedere con quel pagamento per cui hanno fatto pressioni. Ma il punto non è questo: se anche si fosse trattato di accelerare un atto dovuto, non è la presidenza della Camera il soggetto istituzionale preposto al compito. Non sarebbe mai saltato in mente di utilizzare gli uffici della terza carica della Repubblica per il disbrigo degli affari correnti, di commesse e appalti a nessuno dei predecessori di Fini: da Giorgio Napolitano a Fausto Bertinotti, che ben altra missione avevano assegnato a quella istituzione. Se il caso Montecarlo e la costituzione della nuova formazione di Futuro e Libertà sono una vicenda politica che può intersecarsi con quella istituzionale, la vicenda Paglia e quella Marino sono a pieno titolo un caso istituzionale. Non riguardano questo o quello schieramento politico, ma il ruolo e la dignità stessa delle istituzioni, che sembrerebbero da quei fatti trasformate in un comitato di affari privato. Proprio per la delicatezza di questo risvolto ci si sarebbe attesi una spiegazione - anche una smentita - da parte di Fini su quell'incontro con Paglia del 18 novembre 2008. Ma in tre settimane non è arrivata. Come ora è necessario un chiarimento sugli intrecci fra la presidenza della Camera e la cricca degli appalti pubblici. Chiarimento che è trepidamente atteso anche dalla più alta istituzione di Italia, la presidenza della Repubblica.

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