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Parmalat, "con Tanzi era una fabbrica di debiti"

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La Procura chiederà la condanna per dolo o colpa per tutti i 17 imputati accusati di bancarotta

Eleonora Crisafulli
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"Parmalat nella gestione Tanzi è stata il marchio di fabbrica di un sistema malato e la più grande fabbrica di debiti del capitalismo europeo". Così il pm Lucia Russo ha aperto la sua requisitoria al centro congressi Paganini di Parma, nel giudizio giunto ormai in fase conclusiva, a 31 mesi dall'avvio delle udienze. L'accusa per Tanzi e gli altri 16 imputati è di bancarotta. In aula ci sono Domenico Barili, ex direttore marketing di Parmalat, Luciano Silingardi, ex componente del Cda di Collecchio, e Davide Fratta, ex sindaco del gruppo. Assenti invece Tanzi e Fausto Tonna, ex direttore finanziario.   Citando Alda Merini, il pm ha annunciato che chiederà la condanna dei 17 per dolo o colpa nella bancarotta del 2003 perché "un giudizio di rimproverabilità nei confronti di ciascun imputato, nessuno escluso, può essere mosso. Se la mano è leggera non vuol dire che sia estranea al delitto". Non trova giustificazione l'omissione di controlli "doverosi e imposti dalla legge". Una spirale perversa - La Russo ha descritto la "spirale perversa" che ha aggravato lo stato di dissesto del gruppo, ha elencato i numerosi falsi compiuti dagli amministratori e passati al vaglio degli organi di controllo interni ed esterni alla multinazionale senza problemi: "Falsi materiali e quindi fatti non veri, occultamento di valori, falsi contabili o valutativi. In una prima fase, fino al 1998, si tratta di falsi grossolani per stessa ammissione di chi questi è stato chiamato a valutare. Dal 1998 al 2003 tali falsi vengono perpetrati con scientificità". Liquidità mostruosa ma inesistente - La Parmalat di Tanzi utilizzava la Bonlat per occultare i debiti e il fondo Epicurum per giustificare una liquidità "dalle proporzioni mostruose ma in realtà inesistente". Il processo di falsificazione dei dati ha inciso nel 2002 per il 403% sul bilancio consolidato: "Se a Cuba fosse realmente arrivata la quantità di latte in polvere che Parmalat asseriva di aver messo a bilancio in termini di contratti di vendita, l'isola sarebbe affondata". Il pm si sofferma soprattutto sui controlli interni: "Quando nel 2000 il sindaco Maria Martellini chiede perché Parmalat abbia una liquidità miliardaria in termini di euro e perché non la utilizzi in modi diversi, la società affida la risposta ai revisori che dopo un anno e mezzo fanno pervenire alla Martellini un foglietto su cui non è scritto nulla". Nessuna spiegazione fornita da Parmalat ai mercati sulla ingente liquidità detenuta risulta convincente alla Procura. "Avevano detto che la liquidità serviva per cogliere occasioni sul mercato e quindi fare acquisizioni e che rendeva molto di più del costo che Parmalat affrontava ricorrendo al credito, ma nella storia del Gruppo non esiste nessuna acquisizione fatta utilizzando questa liquidità. I consiglieri lo sapevano? Accipicchia se lo sapevano! Quando abbiamo chiesto loro di citare un caso di acquisizione realizzata con il ricorso alla liquidità non sono stati capaci di rispondere. Non potevano perchè di questi casi non ve ne sono".

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