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Il pm De Pasquale

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di Filippo Facci

carlotta mariani
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È partita la santificazione del pm Fabio De Pasquale - l'hanno fatta Repubblica e il Corriere, per esempio - che è uomo ritenuto meritevole non solo di aver imbastito tre processi contro Silvio Berlusconi dal 2003 a oggi, ma è stato menzionato da quest'ultimo in un comizio di domenica. Da qui le agiografie, deprivate d'ogni zona d'ombra: per completezza dell'informazione, però, andrebbero arricchite. Si potrebbe scrivere un romanzetto adducendo le ragioni per cui De Pasquale non ebbe mai particolare stima da parte del Pool di Mani pulite, tra altri. Luigi Ferrarella ed Emilio Randacio, su Corriere e Repubblica, hanno ricordato che De Pasquale fu assolto dall'accusa d'aver indotto al suicidio Gabriele Cagliari (1993) rimangiandosi la promessa di una scarcerazione che il manager attendeva da mesi.  In effetti non furono ravvisati illeciti disciplinari, e, come scrissero i soliti Travaglio & Gomez in cinquanta libri, «È stato completamente scagionato da quei sospetti» (completamente, scrivono) e «Il suo comportamento fu assolutamente corretto» (assolutamente, scrivono) giacché «chi lo accusò senza prove era un garantista all'italiana». Però forse andrebbe raccontata meglio, questa faccenda. La vicenda Cagliari Il 15 luglio 1993 Gabriele Cagliari chiese di essere interrogato e rese una confessione che incontrò le attese di De Pasquale, tanto che davanti a tre persone - l'avvocato Vittorio D'Ajello, il suo collaboratore Luigi Gianzi e un militare della Guardia di Finanza - disse a Cagliari: «Lei me l'ha messo in culo». De Pasquale però cambiò idea il giorno dopo e non avvertì neppure i difensori del manager: si limitò a passare al gip un parere ancora una volta negativo. Qualcuno, però, avvertì i giornalisti: e così il giorno dopo l'avvocato di Cagliari apprese - dalla radio - che De Pasquale si era rimangiato la promessa e che l'indomani sarebbe partito per le vacanze, in Sicilia. Dai verbali di Vittorio D'Ajello, legale di Cagliari, davanti agli ispettori ministeriali: «Il dottor Fabio De Pasquale, alla fine dell'interrogatorio, disse al Cagliari che avrebbe dato parere favorevole alla sua libertà, affermando espressamente rivolto al Cagliari: «Lei me l'ha messo in culo, ma io devo liberarla». Dalle conclusioni degli stessi ispettori, paragrafo IV: «Il dott. De Pasquale, con espressioni non consone, ha tenuto dei comportamenti certamente discutibili (...) soprattutto per avere promesso a un indagato che era in carcere da oltre centotrenta giorni, di età avanzata e in condizione di grave prostrazione psichica, che avrebbe espresso parere favorevole (...) e di avere invece assunto una posizione negativa senza però interrogare nuovamente lo stesso indagato, impedendogli, così, di fatto, di potersi ulteriormente difendere. È mancato quel massimo di prudenza, misura e serietà che deve sempre richiedersi quando si esercita il potere di incidere sulla libertà altrui». Cagliari poi s'ammazzò soffocandosi con un sacchetto di plastica. De Pasquale apprese la notizia fra Capo Peloro e Punta Faro, spaparanzato in Sicilia. I colloqui coi giornalisti furono invero penosi: «Non ho rimorso per quello che ho fatto... No, non mi sento in colpa. Ho svolto il mio lavoro basandomi sulla legge.... E poi non ho fatto quella promessa. È paradossale: io sono contrario alla carcerazione preventiva». Paradossale, sì. De Pasquale fu ufficialmente mollato da cronisti e Procura. Francesco Saverio Borrelli fu visto piangere. «Non si può promettere e non mantenere» ebbe il coraggio di dire Di Pietro, che di quella massima aveva fatto una regola di vita.  Assolombarda De Pasquale era e resta un personaggio così, dichiaratamente di sinistra ma capace di mettere d'accordo l'intero Parlamento come capitò a margine di un'inchiesta sui fondi neri Assolombarda, stesso periodo: l'intero emiciclo - sinistre e forcaioli compresi - respinsero le richieste di autorizzazione a procedere per Altissimo e Sterpa (liberali) e per Del Pennino e Pellicanò (repubblicani) chieste da un magistrato, De Pasquale appunto, il cui intento fu giudicato «persecutorio» dall'intero arco costituzionale. Le frizioni col Pool e in particolare con Di Pietro furono dovute invece ad altri problemi: De Pasquale fu tra i primi ad accorgersi, per esempio, dell'esclusività di rapporto che legava Di Pietro al alcuni indagati (e avvocati) e in particolare al banchiere Pierfrancesco Pacini Battaglia: nel maggio 1994, per dire, De Pasquale  cercò ripetutamente il banchiere per farlo testimoniare nel processo Eni-Sai (che registrerà la prima condanna per Craxi) e il pm attese invano per quattro volte: il 4, 5, 10 maggio e il 2 giugno. Il pm non era riuscito a trovare Pacini nella residenza italiana né in quella svizzera e neanche chiedendo al suo avvocato Giuseppe Lucibello, molto legato a Di Pietro. Però con quest'ultimo e col maresciallo Salvatore Scaletta, incaricato dal Pool, Pacini invece si era reso disponibile per tre interrogatori in febbraio, due in marzo - oltre a tutti quelli dell 1993 - e così pure avrebbe fatto il 30 giugno e il 27 settembre, dopo esser stato dichiarato «irreperibile» da De Pasquale. Il quale litigò furiosamente con Di Pietro anche nel tardo settembre 1993, quando il latitante Aldo Molino sbarcò a Linate e si consegnò a Tonino nonostante fosse ricercato da De Pasquale. Volarono urla. La futura moglie di Di Pietro, Susanna Mazzoleni, denuncerà che il capitano Giancostabile Salato - ufficiale che collaborava con De Pasquale - le aveva rivolto insinuanti domande sulle frequentazioni del marito.  Andrebbe spiegato, ci fosse il tempo e lo spazio, che De Pasquale fu pure il pm della chiassosa indagine sul regista Giorgio Strehler (il pm chiese la pena massima, ma Strehler fu assolto con formula piena) e che lo fu anche di un'altra chiassosissima indagine sui fondi Cee, roba con percentuali di assoluzione mostruose. Pochi ricordano quest'ultimo caso, eppure fu cornice di uno degli episodi più raccapriccianti del periodo di Mani pulite. Su mandato d'arresto del pm De Pasquale, la tarda sera del 28 maggio 1992, 14 agenti irruppero a casa dell'ex assessore regionale socialista Michele Colucci a mitragliette spianate. Intanto, davanti alla caserma della Guardia di Finanza via Fabio Filzi 44, in trepidante attesa bivaccavano parenti, amici, giornalisti, fotografi, cameramen e una piccola folla di curiosi. Tra gli ultimi a ricevere l'invito, gli avvocati di Michele Colucci. La via era transennata e illuminata a giorno, circolavano panini e birre, un cronista de l'Indipendente cantava canzoni di Lucio Battisti accompagnandosi con la chitarra. Le auto con a bordo gli arrestati rallentarono a cinquanta metri dal bivacco per dar modo alla stampa di prepararsi, poi ripartirono a sirene spiegate non transitando però dal passo carraio, come d'uopo, bensì bloccandosi davanti all'ingresso pedonale così da far sfilare gli arrestati uno ad uno. E fu ressa, flash, spintoni, parenti e fotografi ad azzuffarsi. Colucci, malfermo sulle gambe, fu trascinato a braccia nella calca e appena entrato in caserma crollò a terra per un edema polmonare. Venne a prenderlo un'ambulanza e il poveretto venne fatto ripassare in barella tra le forche caudine della stampa: la folla si strinse attorno a un corpo privo di sensi, coperto da un lenzuolo, e un giornalista gli piazzò il microfono davanti alla mascherina dell'ossigeno. Tutti assolti In precedenza De Pasquale aveva ottenuto per Colucci il provvedimento del confino, soluzione adottata di norma per i mafiosi. Arrestato, le condizioni del detenuto sessantenne si fecero drammatiche (come svariate perizie mediche confermarono) ma l'atteggiamento di De Pasquale rimase durissimo, tanto che fece di tutto per farlo finire comunque a San Vittore anziché in ospedale. La figlia di Colucci, giornalista della Rai, fece un pubblico appello che fu raccolto anche da politici (Pannella Taradash, Maiolo) e poi da giornalisti come Gad Lerner, tra altri. Nonostante la ferocia dell'opinione pubblica di quel periodo, alla fine Colucci, da poco trapiantato di fuoco, ottenne gli arresti domiciliari per quanto strettissimi. Dopo nove mesi di carcerazione detentiva, alla fine, il pericoloso criminale potè uscire: sarà assolto in Cassazione. Un altro successo di Fabio De Pasquale.

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