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L'ultimo sberleffo di Mario Monicelli

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Il grande regista si è tolto la vita a 95 anni gettandosi dal quinto piano dell'ospedale San Giovanni a Roma. Verdone: "Era depresso". La famiglia: "Niente funerali"

Giulio Bucchi
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"Solo gli stronzi muoiono", parola di Mario Monicelli, uno che il gusto della provocazione ce l'ha sempre avuto. Ma questa volta, dell'ironia amara e dello sberleffo non c'è traccia. Perché il più grande regista del Novecento italiano ha scelto di andarsene in modo tragico, togliendosi la vita. Si è gettato dal quinto piano del reparto di urologia dell'ospedale San Giovanni di Roma, dove era ricoverato per una grave malattia. Un suicidio che sa di resa, di disperazione, unica via per chi anche a 95 anni non sapeva né poteva rassegnarsi all'oblio, all'impossibilità di decidere il proprio futuro. Qualcuno lo ha definito il padre della commedia all'italiana, ma Monicelli era molto di più. Tra "I soliti ignoti" (1958) e "La grande guerra" (1959), tanto per citare due titoli indimenticabili, passano un anno e un mondo. Il primo comico ed irresistibile, il secondo lucido, spietato, altrettanto irresistibile. Con lui dietro la macchina da presa, hanno raggiunto vette impossibili attori come Totò, Vittorio Gassman, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi. Monica Vitti, Nino Manfredi. Il meglio di Cinecittà, al servizio del più severo, burbero e geniale dei cineasti nostrani, un intellettuale popolare in grado di passare con disinvoltura dalla supercazzola prematurata al dramma di un padre che si vede uccidere il figlio tra le braccia, senza motivo. Praticamente impossibile fare una classifica dei suoi film più riusciti, perché tra i quasi 70 diretti Iil primo, nel 1935, fu "I ragazzi della via Paal") e gli 8o sceneggiati, i flop si contano sulle dita di una mano. E allora via, in ordine cronologico, con gioielli come "L'armata Brancaleone" (1966), "La ragazza con la pistola" (1968), "Vogliamo i colonnelli" (1973), "Romanzo popolare" (1974), "Amici miei" (1975), "Un borghese piccolo piccolo" (1975), "Il marchese del grillo" (1981). "Speriamo che sia femmina" (1986). L'ultimo, del 2006, fu "Le rose del deserto" con Michele Placido, Giorgio Pasotti  e Alessandro Haber. Fu apprezzato da pochi, quasi Moniceli fosse un maestro fin troppo venerato per essere ancora attuale. Lui, mantovano d'origine ma toscano in tutto e per tutto, non ha mai apprezzato la leggerezza fatua di certo cinema italiano contemporaneo, senza però far mai pesare il suo passato. Al ricordo, preferiva il presente. Nel 2007 si lasciò con la sua ultima compagna, Chiara Rapaccini, di 40 anni più giovane. In fondo, anche questa è la vita. Le reazioni - Il suo mondo, il mondo del cinema, ha reagito con cordoglio e costernazione.  Carlo Verdone ha commentato: "E' una notizia che mi intristisce molto, Mario era depresso da tempo". Michele Placido, da Monicelli diretto in "Le rose del deserto", ha detto di non aspettarsi il suicidio, ricordando che "bisogna rispettare questa sua decisione". Il regista Carlo Lizzani ricorda così il grande collega: "Quello che fa capire quale sia stata la sua statura è la sua durata nel tempo nella storia del cinema italiano, prima con Steno, poi durante il periodo di Fellini e Antonioni ha continuato la sua opera intervenendo anche sul tessuto sociale". Il toscano Giovanni Veronesi ricorda: "Sono davvero scombussolato, l'avevo sentito poco tempo fa e pur sapendo che era all'ospedale, non lo sono mai andato a trovare. Peccato". Basito anche il produttore Aurelio De Laurentiis: "Io che lo conoscevo profondamente e sapevo della sua grande dignità e del suo desiderio di essere sempre indipendente e autonomo, posso capire questo gesto". Unanime il dolore del mondo politico, a partire dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il premier - "Esprimo il dolore mio e del Governo italiano per la tragica scomparsa di Mario Monicelli maestro della cinematografia italiana. Con partecipazione". Questo il testo del telegramma che il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha inviato alla Famiglia Monicelli. Il Presidente della Repubblica - Di seguito la dichiarazione di Giorgio Napolitano: "L'opera di Mario Monicelli si è caratterizzata per la straordinaria finezza, acutezza e capacità di penetrazione nel rappresentare comportamenti umani e costumi del nostro tempo e del nostro paese. Egli è stato tra le personalità più originali, operose e creative del cinema del Novecento e sarà ricordato da milioni di italiani per come ha saputo farli sorridere, commuovere e riflettere". I funerali - Per Monicelli non ci sarà nessun funerale. Lo ha comunicato il nipote Niccolò: "Sarà portato a Monti, il rione in cui viveva, per un ultimo saluto ai monticiani. E poi sarà portato alla casa del cinema, dove riceverà il saluto di tutti quelli che vorranno rivolgergli un ultimo omaggio". La scelta è in linea con l'ateismo confesso del grande regista. "La salma - continua il nipote - sarà cremata in forma privata alla presenza della sola famiglia, che non ritiene necessario fare un funerale".

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