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Amici suoi

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di Filippo Facci

Andrea Tempestini
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Cara Conchita, ciao, sono il Monicelli, sono l'anima de li mortacci tua, sono il Mario, quello hai evocato nel tuo editoriale sull'Unità che hai titolato «Caro Mario» per scassarmi i coglioni - scusami - anche da morto: sono qui in Purgatorio che sbrigo scartoffie (stavo per entrare in Paradiso, ma la Binetti e la Roccella hanno fatto ricorso) e voglio dirti che no, ascolta, la devi piantare di associarmi a 'sti giovinastri che occupano stazioni e autostrade spaccano vetrine e rovesciano autoblindi, tu non l'hai letta la mia ultima intervista che ho rilasciato per il libro «Gioventù sprecata» nel giugno scorso: dico che oggi i giovani sono «disinteressati a tutto, gran mammoni viziati, isolati, adagiati sul consumismo, senza interessi, senza il coraggio di dire niente, incapaci di avere qualcosa da dire in contrasto con gli altri». E tu mi associ a 'sti pecoroni con lo zainetto firmato, a me che di sinistra lo fui davvero, a me che Benigni mi sta qua, a me che sdoganai l'Alberto Sordi che voi morettiani avete snobbato esattamente come Totò e Pietro Germi, a me che già nel '77 vi spiegai tutto di quel «Borghese piccolo piccolo» che non vi votava e non vi vota, a me che l'odiato maschilismo l'ho fatto trionfare in «Amici miei», a me che devo pure leggermi i tuoi editoriali, adesso,  in cui spieghi che terapia tapioco come se fosse Antani. A me: che io so' io, e voi siete Conchita.c

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