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Il Toga party si aggrappa alle donnine

Da 17 anni i pm provano a incastrare il Cavaliere. Il primo fu Di Pietro nel 1994, ma da allora Silvio è incensurato e al governo. FILIPPO FACCI

Giulio Bucchi
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No, scusate, Silvio Berlusconi fu inquisito per la prima volta nel 1994, quando aveva 58 anni ed era presidente del Consiglio; Ilda Boccassini in quel 1994 aveva 45 anni, era reduce da esperienze importanti in Sicilia - sulle orme degli assassini di Falcone e Borsellino - e stava appunto per coinvolgere Berlusconi in inchieste pesantissime su corruzioni giudiziarie e sul porto delle nebbie eccetera; un terzo soggetto, Karima el Mahroug, detta Ruby, in quel 1994 si limitava a ciucciare soltanto il biberon, perché aveva un anno. Potremmo aggiungere che Pietro Forno, il pm che condivide con la Boccassini la nuova indagine su Berlusconi, nel 1994 aveva 50 anni e aveva appena fondato un suo pool sui reati sessuali, questo dopo essersi occupato per anni di terrorismo (da Prima Linea ai Nar fino ai Proletari armati per il comunismo) e ancora del plagio di Armando Verdiglione, della setta Scientology e degli aborti alla Mangiagalli; i colleghi si fidavano di lui al punto che nascosero in un suo fascicolo la lista degli affiliati alla P2. Questo era Forno. E questa era la Boccassini. Ora, diciassette anni dopo, Silvio Berlusconi ha 75 anni, è ancora presidente del Consiglio ed è ancora inquisito dalla Procura di Milano; a inquisirlo è ancora Ilda Boccassini, che ora ha 60 anni (Pietro Forno ne ha 66) e si occupa di un filone ormai ridotto a un'improbabile concussione nonché a un reato da 5.164 euro, cioè sfruttamento della prostituzione ai danni della citata Ruby. la quale, intanto, è diventata maggiorenne e sarebbe la sfruttata. Le foto le avete viste tutti, Ruby è la classica sfruttata, la tipica vittima ingenua e priva di malizia. Vogliamo esagerare? Allora aggiungiamo che altri importanti inquisitori di Berlusconi, frattanto, hanno fatto il loro corso: Antonio Di Pietro ha 60 anni ed è in politica da 15; Gherardo Colombo ne ha 64 e ha lasciato la magistratura da 4; Piercamillo Davigo ha 60 anni ed è giudice in Cassazione, Francesco Saverio Borrelli è in pensione. Eccetera. Cioè, cominciate a capire? Lo capite come siamo messi? Ci sono cronisti che scrissero del celebre invito a comparire del 1994 (quello di Napoli, quello che affossò un governo e fece eco in tutto il mondo) e che adesso sono ancora lì, a scrivere dell'invitino a comparire per il caso Ruby: neppure noi che ne scriviamo da vent'anni ce ne rendiamo più conto, ormai. Ci limitiamo a registrare ogni singola puntata ma abbiamo smarrito il senso della storia, e non perché adesso sia diventata una farsa: è da almeno un decennio che è già una farsa. Siamo oltre. Non è neanche più una persecuzione giudiziaria, guardandola a cannocchiale rovesciato: è una comica che non ci fa neanche più ridere, una parodia, uno di quei sequel a basso costo in cui vedi vecchi attori macilenti che si prestano  a ogni cosa, perché è sempre meglio che finire ai giardinetti. Non fate finta di non aver capito: è chiaro che l'azione penale è obbligatoria, è ovvio che nessuno si è propriamente inventato niente (questo fermandosi ai fatti e agli attori: i reati sono un altro discorso) ed è pacifico che nel caso di Ruby l'apparenza non inganna, anche se una differenza tra una presenza e una prestazione esiste ancora, ed è appunto da stabilire. È il classico caso, questo, in cui si può dire che gli italiani - che spesso non capiscono assolutamente nulla - hanno capito tutto, e da un pezzo, e hanno anche già deciso quanto in definitiva gliene importa. Ora ci saranno strascichi politici, conflitti di competenza, polemiche infinite, schermaglie giudiziarie, attività di governo rallentate, voci di crisi e di elezioni: la situazione è classicamente grave ma non seria.  Paradossalmente ha ragione Pier Luigi Bersani: «Per favore ci vengano risparmiati ulteriori mesi di avvitamento dell'Italia sui problemi di Berlusconi». E ha ragione anche Luca Barbareschi: «Perché dedicare tutto questo spazio, invece che parlare dei quattro o cinque argomenti a cui dedicherei le prime pagine dei giornali?». Azzardiamo una risposta. Gli effetti dell'anti-berlusconismo giudiziario si sono ormai permeati nella falda civile di questo Paese, ne hanno inquinato la capacità di giudizio, mentre il pregiudizio viceversa è stato elevato a definitiva forma di (non) comunicazione politica, a target di un mercato editoriale e culturale. Tante persone anche perbene, ormai esauste, per anni hanno obiettato che in fondo i magistrati fanno solo il loro lavoro, che è andato tutto bene, che Berlusconi è ancora incensurato, che se i processi sono caduti tutti come birilli - complici le leggi ad personam - è anche perché la giustizia a suo modo funziona, e i tribunali cioè hanno il coraggio di porre tutti i distinguo del caso. L'hanno detto per anni, ora sono cose che non dice più nessuno: non in buonafede. Dopo diciassette anni di politica - e di magistratura - Silvio Berlusconi è ancora presidente del Consiglio ed è sottoposto a un'indagine per sfruttamento della prostituzione. Significa soltanto che ha vinto.

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