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Salviamo il bambino di tredici anni dal (im)moralismo degli anti-Cav

E' stato spinto dai genitori sul palco del Palasharp. I minori stiano fuori dall'odio politico / BORGONOVO

Giulio Bucchi
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La sensazione è la stessa che si provava guardando, in un film di Fantozzi, la piccola Mariangela costretta a recitare la poesia a memoria davanti ai megadirettori della ditta (che si scambiavano panettoni placcati in oro) per ricevere il suo dolcetto natalizio: un'amarezza mostruosa.  Però la vicenda del tredicenne G. T. non fa ridere nemmeno di striscio.  Si tratta del bambino che sabato pomeriggio è salito sul palco del PalaSharp dove Libertà e Giustizia ha organizzato la manifestazione «Berlusconi dimettiti». L'hanno presentato come «il nostro più giovane amico» e lui era emozionato, lo fissavano su per giù diecimila persone. È partito in quarta, G.,  e ha esposto il suo «punto di vista sulla situazione politica italiana». Che poi è probabilmente il punto di vista del suo papà o della sua mamma o chi per loro,  insomma di chi l'ha sbattuto su un pulpito a dire che il premier  «pensa solo a fare festini ad Arcore». G., povera stella, se l'era studiata bene a casa, la sua poesiola da indignato in miniatura. Ogni tanto sfoderava la voce un po' cantilenante che hanno i bimbi alla recita della scuola. Ha pure battuto un paio di volte il pugnetto sul leggio, per rimarcare che era davvero arrabbiato. Ha concluso dicendo che con un nuovo governo si starebbe meglio ed è smontato dalla ribalta fra gli applausi vagamente commossi del pubblico: una parentesi sentimentale in un pomeriggio di odio puro.  Quando è sceso,  è stato assalito dai fotografi. Pare che lo abbiano anche fatto posare - con una lavagnetta in mano - per il servizio di un settimanale, chissà quale. Il ragazzino minorenne è stato esibito in un palazzetto dello sport gremito;  è stato sparato in diretta sui siti web e su Sky;   è finito pure sui giornali. Ieri   Repubblica ha messo in pagina la sua foto, senza  effetti grafici a coprirgli gli occhi. L'Unità si è trattenuta: niente foto ma citazione nell'editoriale di Concita De Gregorio. La quale però ha sbagliato a scrivere il cognome del fanciullo: chissà la delusione  dei parenti che ieri avranno comprato il giornale in massa, come i nonni acquistano il quotidiano locale con la notizia che il nipotino è stato promosso.   Su YouTube, poi,  c'è già il video dell'intervento di G., con commenti in allegato. Sarà che  siamo gente senza  vergogna,  però  non ci è chiara  la differenza fra la mamma che spinge la figlia a fare la velina e quella che esorta il figlioletto a fare lo scandalizzato su un piedistallo  a beneficio di tivù e carta stampata. Ce li immaginiamo, i genitori, a dire  soddisfatti: «Quello lì è il mio bambino», come alla partitella di calcio dei pulcini. Un bimbo che invece di giocare alla Playstation  discetta di «modelli dominanti», del premier e del governo che «se ne fregano dell'Italia» è il simbolo della parte del Paese moralmente superiore? Va esposto così, con tutte le nozioni che gli hanno inculcato su quanto Berlusconi faccia schifo? Magari gli hanno anche fatto sfogliare, invece di Harry Potter, i verbali delle intercettazioni della Minetti. Nella Carta di Treviso firmata dall'Ordine dei giornalisti, dal Telefono azzurro e della Federazione nazionale della stampa, molto apprezzata dai colleghi progressisti, vengono assunti i princìpi della Convenzione Onu del 1989, «in particolare»  che «in tutte le azioni riguardanti i bambini deve costituire oggetto di primaria considerazione “il maggiore interesse del bambino” e che perciò tutti gli altri interessi devono essere a questo sacrificati». Speriamo che a G. interessi molto giocare al piccolo arruffapopoli, speriamo che gli leggano la sera i libri di Marco Travaglio (tanto sono pieni di favole).   Dice ancora la Carta: «Il bambino non va intervistato o impegnato in trasmissioni televisive e radiofoniche che possano lederne la dignità o turbare il suo equilibrio psico-fisico». Non sappiamo quello di G., ma dopo quattro ore di insulti a Silvio, interviste a Oscar Luigi Scalfaro e telefonate di Paul Ginsborg, anche l'equilibrio psico-fisico di un frate trappista ne uscirebbe turbato. Forse però ci sbagliamo, a forza di ascoltare  Libertà e Giustizia ci siamo intromboniti pure noi. Forse G. sta bene così, cresce  sereno nell'odio antropologico per i berlusconiani. E se intervenisse il Telefono azzurro si lamenterebbe con sdegno: «Azzurro, che orrore, rosso non si potrebbe averlo?». di Francesco Borgonovo

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