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'Drive In', tv e ipocrisia: quando per la sinistra Ricci era Gramsci

Ieri lo show era "un salto nella fantascienza", oggi è il simbolo del degrado del berlusconismo / SPECCHIA

Giulio Bucchi
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L'Apocalisse era parcheggiata al “Drive In” e  non lo sapevamo. Si mobilitano nelle piazze femmine furibonde con la sessualità del premier; e a sinistra ci informano che il “Drive In” coi suoi siparietti tette- e- risate era il germe del berlusconismo, la madre di tutti i Bunga Bunga. Era il Male. E noi che ce l'eravamo allegramente ciucciati per anni. Siamo cresciuti con un'idea silconata della morale e non ci avevano avvertito. Almeno finchè, ad illuminarci, non giunsero Gad Lerner con la sua saga all'Infedele sulla mercificazione del “Corpo delle donne” (dal documentario di Lorella Zanardo); e le femministe del pubblico di Annozero -l'ultima l'altra sera-; e Il manifesto, e Il Fatto e L'Unità: tutti concordi nel ritenere che “ le ragazze che popolano le intercettazioni sono, da vent'anni, la ragazza-tipo della tv italiana, la specie umana largamente più diffusa nei palinsesti, il Drive In in terra...”. Il che ti dà l'idea di un'adolescenza sbatacchiata in una strategia del consenso alla Goebbels.  Ezio Greggio, tra i padri del più “popolare e inventivo cabaret italiano” (cfr. Aldo Grasso, sinistra illuminata) non è d'accordo: «Ma quando mai! Drive In ha segnato un cambio generazionale e di stile nel varietà tv che nessuno ha segnalato: la fine del presentatore tradizionale dei salamelecchi e dei tempi morti, la nascita di un varietà satirico tutta sostanza e niente fumo. Continuano a scambiare Drive In con Colpo Grosso che aveva i nudi. Le ragazze fast food erano più vestite delle donnine di Macario e Dapporto. Drive In era seguitissimo dalle famiglie». Eppure le femministe di ritorno che scendono in piazza oggi sono animate dal livore. Si lanciano contro quel che Massimiliano Panarari, nell' omonimo saggio Einaudi, chiama l' “Egemonia sottoculturale”: tette e culi a pioggia, che avrebbero sedimentato il “modello Ruby”. Greggio afferma che, nella trasmissione, le uniche, a non essere “oggetto” erano le donne: «C'era il paninaro -oggetto, c'era lo yuppie-oggetto, c'erano le aste televisive-oggetto, c'era un altro tipo di bersaglio. Le nostre ragazze partecipavano agli sketch con battute pungenti quanto quelle dei comici. La gente ancora oggi ricorda i comici e i tormentoni, non i corpi delle fast food. Le donne nude erano sulle copertine dell'Espresso e di Panorama, non qui». Drive In era un think thank, “la trasmissione col più alto numero di laureati”, suggerisce Giorgio Faletti.  Eppure, nell'esegesi di un fenomeno che sbandierava  humour demenziale, danzava sul ritmo dell'eccesso e rendeva gli stacchi pubblicitari tutt'uno coi décolletté (la Russo, la Cansino; ma la nostra preferita era Sofia che oggi fa. orgogliosamente, la maestra) sono oggi in molti ad indicare l'inizio della fine, la creazione plastica di un'etica pubblica che nasce a Cologno e arriva in Parlamento (d'altronde il ministro Romani inventò Maurizia Paradiso...) . Sempre Greggio reagisce: «Ma quale modello femminile berlusconiano, la fast food era una caricatura come io facevo la caricatura di Verdiglione. Drive In Berlusconi lo soffriva, gli creava solo casini, ah ah. Le nostre ragazze erano meno pruriginose della Gruber e della Busi...». Ed è vero. A riverderlo a Matrix , quel cabaret sovrannaturale datato 1983, alcuni sketch, sono molto più “di sinistra” di quanto si ricordi. E, in fondo, proprio l'intellighentia di sinistra celebrò, per anni, l'ideologia del Drive In. Scriveva Umberto Eco nell'87: «Pensa a una trasmissione come “Drive In”, al ritmo, alla quantità di cose che 'Drive In' riesce a far vedere in due minuti e paragona i due minuti a due minuti della vecchia tv. Un salto da fantascienza, no? Eppure a quanto pare la cosa non ha provocato traumi, noi siamo passati dal ritmo di valzer a quello di  rock'n'roll..». Oreste Del Buono affermava: «Drive In, la trasmissione di satira più libera che si sia vista e sentita». Giovanni Raboni dipingeva lo  “una specie di congegno ad orologeria a bassissimo rischio”. Vittorio Gassman confessò che dopo Drive In dovette “cambiare i rimi in teatro”. Tutti allora, a sinistra, con analisi molto colte, accostarono Ricci a Gramsci, ai situazionisti di Debord. Nessuno dichiarò guerra agli eccessi di pelle esposta e alla carnalità straripante dai push up. Si pensava a Drive In come al sogno felliniano che avrebbe narcotizzato Berlusconi. Che poi sia avvenuto il contrario...

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