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Crociata contro i videogames: ma il mouse non ha mai ucciso

Per Don Aldo Bonaiuto "dobbiamo smetterla con questa cultura della morte". Ma non tutti la pensano così...

Andrea Tempestini
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Undicesimo comandamento: non fare videogiochi. Se non lo rispetti, diventerai un assassino o finirai tu assassinato. No, non è la una citazione tratta da un delirante testo apocalittico. Ma è la battuta (che però non fa ridere nessuno) di una specie di “Savonarola reloaded”. Il suo nome è Don Aldo Bonaiuto, professione sacerdote, con una indubbia vocazione, è il caso di dirlo, per le prediche contro i videogiochi. Sarà pure un Savonarola, ma a questo prete i media piacciono. Eccome se gli piacciono. Infatti una delle ultime prediche è stata rivolta direttamente davanti alle telecamere di un noto programma televisivo sulla rete ammiraglia di Mediaset. Giovedì 3 marzo, su Pomeriggio 5, Canale 5, Don Aldo ha dichiarato: “È una vergogna che i nostri bambini giochino con dei videogiochi nei quali vince chi uccide e massacra di più. Dobbiamo smetterla con questa cultura di morte”. E lo ha detto non a caso, ma riferendosi ai recenti e tragici delitti, da Sarah a Yara. E' colpa dei videogiochi? Vergogna, uccidere, massacrare, cultura di morte. Sono proiettili sparati nella testa dei telespettatori, inclusi i più giovani, che finiscono col demonizzare non solo il videogioco, ma anche i videogiocatori. E' un po' come dire che chi si collega ad internet è per forza un pornomane o che tutti i preti sono pedofili. Ragionamenti, generalizzazioni, luoghi comuni che sono buoni all'osteria. Sono facilissimi da sbattere in faccia. Poi la gente ci crede pure, perché lo dice la tivvù e perché lo dice un prete. Bene, cioè male, malissimo, perché queste bordate non sono accompagnate da statistiche, argomentazioni, ipotesi, casi provati. Niente di tutto ciò. Ma non è una dimenticanza di Don Aldo. Infatti non esistono inconfutabili prove scientifiche che i videogiochi diffondano la violenza.   Di fronte a questa serie di efferati delitti di giovanissime ragazzine è naturale reagire cercando un capro espiatorio contro cui scagliare ogni maledizione. Si va a fare un po' di legna, si accende un fuoco e si brucia il colpevole, senza processo, senza prove. Sono anni che media e studiosi provano ad inventarsi una correlazione tra uso di un videogioco e comportamenti violenti. Ci sono due casi lampanti. “Possiamo affermare che, indipendentemente dal metodo impiegato e dai tipi di culture testate, nei giovani i videogiochi violenti producono comportamenti violenti”. Lo dice Craig Anderson, professore di psicologia alla State University dell'Iowa, Usa, nel febbraio 2010. Anderson si considera un guru sulla “violenza mediatica” e ha anche testimoniato davanti alla Commissione per il Commercio del Senato degli Stati Uniti sulla violenza scatenata dai videogiochi. A sfogliare la sua ricerca, pare di aver trovato la verità assoluta. Peccato che solo pochi mesi più tardi, per la precisione a luglio, un altro professore, questa volta Cristopher J. Ferguson, dell'Università del Texas, abbia individuato una relazione in base alla quale i videogiochi “violenti” aiuterebbero a scaricare lo stress accumulato, producendo così comportamenti meno aggressivi. Lo studio prendeva come caso limite il massacro al Politecnico della Virginia del 2007 in cui uno studente ventitreenne ha ucciso trentadue persone prima di suicidarsi. Il copione non cambia, i risultati sono sempre opposti. Chi ha ragione? Facciamo testa o croce? Ma le vere emozioni nascono quando il videogioco diventa una medicina per i bambini. E' il caso di HopeLab, un'organizzazione no-profit che dal 2008 riesce ad educare i bambini malati di cancro sulla sopportazione delle cure e addirittura insegna loro ad auto-medicarsi attraverso un videogioco appositamente sviluppato. Così il bambino capisce che è in lotta per la sua vita e riesce persino a sorridere dopo una chemioterapia. Questa sarebbe una “cultura della morte”? Don Aldo Bonaiuto è un sacerdote che si batte contro le sette sataniche e va lodato per questo suo impegno. Infatti alla sua personalissima maledizione contro i videogiochi non si deve replicare con un'altra crociata per idolatrare i videogiochi. Bisogna soltanto riequilibrare l'informazione, ricordando che il videogioco, in tutto il mondo, è considerato una forma di cultura, un prodotto artistico, una nuova esperienza che unisce cinema, narrazione e multimedialità. Lo sintetizza con precisione Marco Accordi Rickards, presidente di Aiomi, Associazione Italiana Opere Multimediali Interattive (http://www.aiomi.it/): il videogioco “stimola l'apprendimento, la coordinazione motoria e l'attitudine alla risoluzione dei problemi. Non è un caso se il Videogioco è da anni utilizzato anche a fini didattici e pedagogici nonché studiato e insegnato nelle più prestigiose università del mondo. È il caso di dirlo una volta per tutte senza se e senza ma: tra gli episodi di cronaca nera e i videogiochi non esiste alcun collegamento, né è mai esistito ed è molto grave che, nel terzo millennio, si possa dichiarare in televisione qualcosa di così retrogrado, errato e dannoso senza alcun contraddittorio”. Sì, alla fine è questo che manca: una corretta informazione sul mondo videoludico. Troppo spesso, e troppo facilmente, si emettono condanne a morte contro i videogiochi. Lo fece persino l'Economist , dedicando una copertina ai videogiochi violenti – soggetto: un bambino che gioca ha anche “cornini” in testa, come fosse un diavoletto. E allora, chi guarda ogni giorno le scene violente dei telegiornali? Chi legge il giornale? Chi ascolta la radio? Chi va al cinema – sono tutti assassini? La critica fa sempre bene. Ma accostare il videogioco al “demonio” va oltre ogni limite. Satana, quello vero, è molto più simile ad un uomo che ad un videogioco... di Gabriele Cazzulini Esteri 11 marzo 2011 Giappone, lo tsunami di Sendai

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