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Caso Yara, mentre l'Italia la cercava il pubblico ministero era in vacanza

Nel mirino ci sono finiti i volontari, ma nei 40 giorni cruciali delle indagini il magistrato era in vacanza

Andrea Tempestini
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Il sostituto procuratore di Bergamo Letizia Ruggeri, che indaga sul caso della povera Yara Gambirasio, è andata in ferie due settimane dopo la scomparsa della tredicenne trovata cadavere il 26 febbraio scorso. La ragazzina era stata inghiottita dal buio il 26 novembre, dopo essere uscita dal centro sportivo del suo paese, Brembate Sopra. Era lo stesso giorno, quello, in cui il procuratore della Repubblica di Bergamo Adriano Galizzi festeggiava le ultime ore di lavoro prima di andare in pensione dopo 49 anni di brillante carriera nella magistratura. Quella sera, il caso finisce sulla scrivania della dottoressa Ruggeri. Gli inquirenti si tappano la bocca e iniziano a lavorare immediatamente. Ben sapendo che i primi giorni sono quelli che spesso risultano decisivi per risolvere i casi. Sembrava fosse così anche per il dramma di Brembate Sopra, visto che sabato 4 dicembre viene bloccato un marocchino di 23 anni, Mohamed Fickri. Era su un traghetto salpato da Genova. Le accuse sono pesanti: sequestro di persona, omicidio e occultamento di cadavere. Lunedì 6 dicembre è interrogato dal gip e dal pm Ruggeri nel carcere di via Gleno, ma nel giro di un amen viene rilasciato con tante scuse. L'impianto accusatorio si regge soprattutto su un'intercettazione che si scoprirà essere stata tradotta male. Passano pochi giorni. 10 dicembre. Gli inquirenti rompono il silenzio e organizzano una conferenza stampa nell'ufficio del procuratore aggiunto Massimo Meroni. Arrivano giornalisti da tutta Italia, si fa fatica a trovare spazio, ma i taccuini non annotano una notizia che sia una. Il motivo è semplice: non c'è nulla da dire, al di là di un pronotisco che si rivelerà tragicamente sbagliato: «Yara è viva? Per noi sì, non ci sono indicazioni contrarie» afferma Meroni. La Ruggeri già non c'è. Ha salutato tutti per andare in ferie, con la speranza di tornare più rilassata e pronta a risolvere il caso. Purtroppo, le indagini faranno registrare novità solo il 26 febbraio, col ritrovamento del cadavere in un campo di Chignolo d'Isola. A poche centinaia di metri dal comando della polizia locale che era stato trasformato in centro di coordinamento delle ricerche. Da lì, sono piovute critiche contro i molti volontari bergamaschi ritenuti incapaci di scovare il corpicino. Anche loro, effettivamente, si erano presi dei giorni di ferie dopo la drammatica scomparsa della giovane. Ma per cercarla, gratis.  Tanto che ieri sono stati difesi dal viceprefetto di Bergamo Sergio Pomponio, mentre il ministro Roberto Maroni ha parlato di «polemiche vergognose». In tutto questo, continuano le indagini. Nei cassetti degli uffici di polizia e carabinieri si troverebbe il dna di quaranta persone che sono state sentite nella prima fase delle indagini (tra cui conoscenti, testimoni e chiunque avesse a che fare con la ragazzina). Quaranta codici genetici che si aggiungono a quelli dei dieci pregiudicati, accusati di violenza sessuale e di reati connessi allo scenario di Yara, già a disposizione degli inquirenti. I quaranta nuovi elementi sarebbero stati prelevati ai diretti interessati in modo coattivo, cioè “di nascosto”, prendendo il dna dalla saliva attraverso tazzine di caffè, sigarette e bicchieri. Oggi è attesa la relazione preliminare dell'autopsia a cui seguirà un confronto tra l'anatomopatologa Cristina Cattaneo e la pm Ruggeri. C'è anche l'intenzione di analizzare i nomi di tutti i circa 25mila iscritti alla discoteca “Sabbie Mobili Evolution” che si trova a due passi dal luogo dove è stato ritrovato il cadavere. di Matteo Pandini e Matteo Magri

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