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Libia, Sarkozy: Sì a bombe. La Eni blocca le attività

Usa: "Gheddafi vincerà. Siamo in contatto con ribelli". Francia: "Colpire bunker di Muammar". Ue dice sì ad intervento, l'Italia contraria

Giulio Bucchi
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Nessuna voglia di arrendersi, nessun segno di cedimento. La famiglia Gheddafi, assistita dai propri militari, non intende mollare, e anzi rilancia. Minacciando una controffensiva su larga scala e lanciando un ultimatum ai ribelli. "E' venuto il tempo di agire, ci stiamo muovendo. Gli abbiamo dato due settimane - ha detto Saif al Islam, figlio del Colonnello - questo è il nostro Paese e qui combatteremo. Non ci arrenderemo mai, mai gli americani e la Nato saranno i benvenuti. La Libia non è un pezzo di torta". LA FRANCIA PASSA ALL'ATTACCO - Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha annunciato di voler bombardare il bunker di Muammar Gheddafi a Tripoli. La proposta, ha riferito una fonte vicina all'Eliseo, arriverà nel corso del Consiglio europeo straordinario che si terrà venerdì a Bruxelles. Il presidente francese, ha aggiunto la fonte, proporrà "di colpire un numero estremamente limitato di punti, dai quali partono operazioni letali". I tre siti sono Bab al-Azizia, dove sorge il quartier generale di Muammar Gheddafi a Tripoli, una base aerea militare a Sirte e un'altra a Sebha, nel sud. Da par suo l'Italia non parteciperà ai bombardamenti mirati sulla Libia. A precisare la posizione di Roma è stato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, a conclusione del Consiglio informale dell'Ue che si è tenuto a Bruxelles. "L'Italia vuole una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu", e quindi non un attacco diretto alle forze libiche bensì un controllo delle forze aeree di Gheddafi. Anche il ministro della difesa, Ignazio La Russa, smentisce la possibilità di un intervento: "I bombardamenti sulla Libia o un intervento terrestre sono due opzioni a cui l'Italia non ha mai pensato". ROMPUY PENSA A INTERVENTO - Segnali che lasciano pensare alla possibilità di un intervento militare sono arrivati anche dal presidente della Ue, Herman Van Rompuy, che in un messaggio ai leader del Vecchio continente ha spiegato: "I responsabili delle violenze in Libia andranno incontro a gravi conseguenze. L'attuale leadership libica deve lasciare il potere senza ritardi". Secondo il presidente, "la Ue non può rimanere ferma quando si tratta della sicurezza di una popolazione". SORVEGLIANZA - Giovedì è iniziata la sorveglianza, 24 ore su 24, dei cieli libici da parte della Nato. Il pattugliamento avviene con tre Boeing E-3 Sentry e riguarda tutto lo spazio aereo sopra il Paese maghrebino. Il Segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha parlato di basi legali chiare e di un fermo sostegno della regione come presupposti per un intervento. ENI, STOP A PRODUZIONE - La crisi libica, però, ha pesanti ripercussioni anche a livello economico. L'allarme è stato fatto scattare dall'amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, che rispondendo alle domande degli analisti finanziari sull'attività della società nel Paese nordafricano ha specificato:  "Credo che la produzione di petrolio in Libia si fermerà molto presto, questione di giorni". Scaroni comunque aveva precisato già nei giorni scorsi che l'Italia avrebbe compensato il mancato arrivo di greggio dalla Libia attingendo da fonti differenti. GOVERNO DEI RIBELLI COME UNICO RAPPRESENTANTE - Sempre da Parigi è arrivata la notizia che l'Eliso riconosce il Consiglio di Bengasi, ovvero il governo dei ribelli, come unico rappresentante della Libia. Londra, invece, sembra più cauta: il Foreign Office ha sottolineato che i rappresentanti dei ribelli sono "validi interlocutori" e, pur ribadendo che "Gheddafi deve andare via", ha avvertito: "Il Regno Unito riconosce gli Stati, e non i governi, intendiamo collaborare strettamente con il Consiglio nazionale di transizione". L'Italia, chiedendo per bocca di Frattini "decisioni europee, condivise e unanimi", ha invece affermato che "deve essere l'Europa a decidere, sia sulle sanzioni così come sui contatti con l'opposizione. Roma è comunque disponibile ad accompagnare una eventuale missione Ue a Bengasi", dal momento che la Capitale sta per riaprire il proprio consolato nella città della Cirenaica. RISOLUZIONE UE - A Bruxelles, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che chiede ai governi Ue di riconoscere il Consiglio nazionale della transizione libico (il "governo" dei ribelli) come l'autorità che rappresenta a ufficialmente l'opposizione del Paese. Nel testo, inoltre, l'Unione europea invita a prepararsi alla possibile istituzione di una no fly zone per impedire alle forze lealiste di colpire la popolazione e aiutare le operazioni di rimpatrio di chi fugge dalle violenze del regime. PROSEGUE LA REPRESSIONE - Bombe di Gheddafi sui ribelli a ovest di Ras Lanuf. Un ordigno sganciato da un aereo delle forze del Colonnello è stato sganciato nei pressi di un check point degli oppositori del regime: sarebbero sette i feriti. Non si allenta, dunque, la morsa del Raìs sull'area delle più importante raffinerie del Paese. E il caos coinvolge direttamente la produzione di petrolio nel Paese, precipitata drasticamente dopo tre settimane di rivolte popolari. Shukri Ghanem, capo della compagnia statale National Oil Corporation (Noc), ha spiegato che la produzione di greggio è ora inferiore a circa 500mila barili al giorno, contro l'1,58 milioni di barili al giorno precedenti la rivolta. Alla base del tracollo gli scontri armati e la fuga dei lavoratori del settore. USA: "IL COLONNELLO VINCERA'" - Sull'esito della guerriglia in Libia si è espresso il governo statunitense. Muammar Gheddafi "sta tenendo duro" e non dà alcun segno di essere disposto a cedere il potere. Anzi, le forze a lui fedeli, essendo meglio equipaggiate e disponendo di maggiori risorse logistiche, "alla lunga sono destinate a prevalere". Questo il lapidario giudizio del direttore dell'intelligence Usa, James R. Clapper. "Gheddafi intende tirarla per le lunghe, e pare proprio che si sia preparato per spuntarla", ha aggiunto Clapper nel corso di un'audizione davanti alla commissione Forze Armate del Senato. Il numero uno dei servizi d'informazione americani ha poi sottolineato come "la struttura delle difese aeree libiche, al suolo e per quanto concerne i sistemi radar e le batterie di missili terra-aria, siano decisamente solide". Gli arsenali di Tripoli, ha precisato, nella regione "sono i più vasti dopo quelli del'Egitto". In proposito Clapper ha ricordato che la Libia dispone "molto equipaggiamento russo", dotato "di una certa qualità e dimensione", sebbene una parte di tali dotazioni "siano finite all'opposizione". Il capo dei servizi d'intelligence di Washingtion ha quindi messo in guardia contro il pericolo che certi armamenti, specie quelli portatili, "finiscano nelle mani sbagliate" "IN CONTATTO CON I RIBELLI" - Nella serata di giovedì si è appreso che gli Stati Uniti sono in "contatto diretto" con i dirigenti dell'opposizione libica, compresi i membri del Consiglio Nazionale Transitorio di Bengasi. A riferirlo è stato il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, che ha chiarito come gli Usa "siano in contatto diretto con l'opposizione: ci stiamo coordinando con loro per fornire assistenza e per stabilire il modo milgiore con cui sostenere le loro aspirazioni". Carney ha poi spiegato che il processo è ancora nelle fasi iniziali: "Siamo ancora impegnati nell'accertamento di quali siano i desideri di questi gruppi, chi rappresentino, quali siano le loro idee e dove vogliono portare la Libia in un futuro, dopo la fine del regime di Gheddafi". STRETTA SULLA STAMPA - Aumenta nel frattempo la stretta del regime di Tripoli sulla stampa internazionale. Tre giornalisti della Bbc hanno denunciato di essere stati trattenuti, torturati e minacciati di morte dalle truppe di Gheddaffi lunedì scorso, mentre stavano cercando di andare a Zawiya. Guarda la confessione dei tre reporter su LiberoTv. Goktay Koraltan, Feras Killani e Chris Cobb-Smith - ormai fuori dalla Libia - sono stati fermati a un posto di blocco dei governativi sulla strada per Zawiya, a circa 40 km da Tripoli, e, malgrado avessero mostrato i loro documenti, sono stati portati in una grande caserma nella capitale. Qui sono stati bendati, ammanettati e picchiati a pugni, ginocchiate e con i calci dei fucili. I tre, sottoposti anche a finte esecuzioni da parte dei soldati e dalla polizia segreta, sono stat rilasciati 21 ore dopo. "Siamo stati messi in fila contro un muro - ha raccontato Cobb-Smith -. Io ero l'ultimo, la faccia rivolta contro la parete". "Ho guardato - ha proseguito - e ho visto un uomo in borghese con una mitraglietta, che puntava al collo di ciascuno. Io l'ho visto e lui ha urlato, poi mi è venuto vicino, ha mirato al mio collo e tirato il grilletto due volte. I proiettili hanno sfiorato le mie orecchie, i soldati ridevano". Koraltan ha affermato che erano tutti convinti che sarebbero morti. Paura anche per un altro reporter, il brasiliano Andrei Netto, inviato a Zawiyah. Di lui non si hanno notizie da domenica scorsa. LE REAZIONI INTERNAZIONALI - Proseguono le pressioni delle autorità internazionali su Gheddafi. La Russia proibirà completamente la vendita di armi alla Libia, sospendendo tutti i contratti in vigore con Tripoli. Difficile la scelta sull'intervento armato o meno. Il leader del Consiglio Nazionale di Transizione libico, Mustafa Abdel Jalil, ha chiesto alla comunità internazionale l'istituzione della "no-fly zone" sui cieli della Libia per fermare i raid dell'aviazione. "Ma non vogliamo - ha detto il leader dei ribelli - la presenza di truppe straniere nel nostro paese".

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