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Saggio surreale su sicurezze ancestrali: comunisti si nasce

Cimatti spolvera Marx di sociobiologia e biolinguistica, e sostiene che l'ideologia "rossa" sia naturale /TEDOLDI

Andrea Tempestini
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Di fronte ai nuovi apologeti del comunismo vien sempre voglia di percorrere la via breve, e brusca, e di tacitarli ricordando loro i milioni di morti che ovunque si sono accumulati per mano dei vari compagni segretari, timonieri grandi e piccoli, commissari del popolo e altre sinistre figure. O anche, di invitarli a un talk-show con qualche esule che ha accarezzato i metodi del Kgb o della Securitate. Ma poiché viviamo in un sistema capitalistico, sistema che come nessun altro mai ha esaltato il valore del dialogo e del rispetto delle idee, ci tocca trattarli con i guanti bianchi, i nuovi pifferai della rivoluzione, e dimostrare come, gira e rigira, le loro idee siano, pur sotto nuovi cosmetici, le stesse classiche del vecchio Karl Marx, che ogni tanto riaffiorano come per tentare la fortuna, casomai fossero maturi i tempi per la dittatura del proletariato. A rispolverarle, giusto con qualche verniciatura di moderne discipline quali la psicologia evolutiva, la sociobiologia, la biolinguistica, è Felice Cimatti, professore di Filosofia del linguaggio all'Università della Calabria, nel suo libro Naturalmente comunisti (Bruno Mondadori, pp. 208, euro 15), dove l'avverbio indicherebbe, con la consueta spocchia che contraddistingue lorsignori, che chi comunista non è, o addirittura fosse anticomunista, è tagliato fuori dalla Physis, dalla Natura profonda e essenziale dell'uomo. Uno scarto, un ostacolo sulla strada della razionalità e del progresso. Anche qui, nulla di nuovo rispetto alle originarie tesi di Marx che, com'è noto, si vedeva assai più come uno scienziato che come un filosofo; anzi, era convinto di aver finalmente messo in soffitta i procedimenti mistici della metafisica per far largo alle predizioni infallibili, e s'è visto com'è andata a finire. Cimatti si rimette all'opera armato di nuovi strumenti, di cui il principale è quello con cui s'è fatto strada all'Università: la filosofia del linguaggio. Il linguaggio, per Cimatti, è il medium, il terzo «disinteressato e imparziale» che dimostra come l'uomo sia una creatura né interamente naturale né interamente culturale. Il linguaggio non è né un istinto né un mero apprendimento: è, per dirla con un'espressione che nel libro ricorre, ciò che apre all'esperienza del possibile, dell'immaginazione. Non esiste una natura umana stabile, fissata una volta per tutte nella genetica, né un'istituzione sociale che ci leghi una volta per tutte, esiste l'uomo linguistico, capace sempre, in virtù del dono della parola, di rinegoziare i suoi rapporti con i propri simili e di immaginarne di migliori. NUOVI STRUMENTI Come, da queste premesse non necessariamente scorrette, si approdi alla conclusione che l'uomo linguistico non possa ottenere la piena realizzazione e felicità in nessuna società se non in una comunista, Cimatti non lo spiega, o meglio, lo spiega con sofismi e ampie citazioni dal maestro Marx, roba da far cascare le braccia. Si ha così un libro che, su sei capitoli, ha i primi quattro, dedicati alle teorie sul linguaggio e la natura umana, con un solido andamento scientifico e assai interessanti, e gli ultimi due, dedicati rispettivamente alla critica del capitalismo “ovvero l'uomo completamente perduto a se stesso” e al paradiso in terra, cioè il comunismo prossimo venturo, che fanno tenerezza per ingenuità e miseria di argomentazioni. Alcune assurdità meritano essere segnalate, come la frase a pag. 158, che sembra uscita dalla Fenomenologia dello spirito del buon Hegel: «Se l'individuo presuppone l'universale, perché l'individuo è l'esito di un processo di individuazione all'interno di quell'universale, a sua volta l'universale presuppone l'individuale, perché soltanto se prende forma in un individuo determinato quell'universale diventa reale». Leggere frasi di questo genere, del più zotico idealismo (nell'accezione per l'appunto hegeliana del sostantivo) in un libro dove si cita, per dirne uno, Ludwig Wittgenstein, e lo si adopera disinvoltamente per criticare il “linguaggio privato” (cioè l'assurdo per cui possa esistere una lingua non condivisa da altri parlanti e dunque non verificabile nei suoi significati e nel suo uso), fa pensare a certe discussioni tra matricole universitarie, dove pur di ottenere ragione si cita un filosofo e il suo opposto, purché faccia brodo per le proprie ragioni. In uno studio serio, «l'universale diventa reale» solo dopo assunzione di mescalina, e comunque non può stare accanto alla critica del linguaggio privato di Wittgenstein, che avrebbe bollato di nonsenso quell'espressione. NO ALLA PROPRIETA' PRIVATA Altrove, Cimatti, fervoroso nemico della proprietà privata, dice che come il linguaggio è di tutti, così i «fatti sociali» (e per tali intende anche le merci) dovrebbero essere di tutti. Non lo sfiora il sospetto che il linguaggio, seppure “universale” non è “reale” (come invece vorrebbe), ma è immateriale e sempre disponibile, mentre le merci, ahinoi, sono finite, limitate, sicché se ho bisogno della parola “pane” posso prenderla quando voglio, mentre il pane mi tocca acquistarlo perché non ne esistono scorte infinite. «Il comunismo è il futuro biologico della specie umana», scrive nelle conclusioni Cimatti. Ma bisogna vedere se il piccolo pioniere non muore di fame prima. di Giordano Tedoldi

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