Libia, si sveglia l'Onu: "Gheddafi cessi subito fuoco"
Ban Ki-moon avverte (in ritardo) il Colonnello, che però insiste: "In 48 ore sarà tutto finito". Esercito verso la Cirenaica e a Misurata
Con discreto ritardo, l'Onu decide di intervenire nella questione libica. Lo fa tramite le parole del suo Segretario Generale, il sud-coreano Ban Ki-moon: "Cessate il fuoco immediatamente", un ultimatum che guinge dopo l'acuirsi della guerra civile a seguito della riscossa delle truppe lealiste. Proprio quest'oggi, 16 marzo, le brigate guidate da Khamis Gheddafi, figlio del colonnello Muammar, sono entrate all'interno della città di Misurata: fino ad ora si segnalano 5 morti e 11 feriti. Secondo quanto riferisce la tv satellitare al-Arabiya, la brigata è composta da circa 40 carri armati che sono già entrati nella periferia meridionale e occidentale della città. Le forze lealiste, inoltre, sono ormai vicine alla roccaforte Bengasi (duri bombardamenti si segnalano, infatti, nei pressi dell'aeroporto). L'altro figlio di Gheddafi Seif ha annunciato che "nel giro di 48 ore sarà tutto finito, pertanto qualsiasi decisione fosse presa sulla 'no fly-zone', arriverebbe comunque troppo tardi". FRATTINI: "SANGUE FREDDO FINO A NUOVA LIBIA" - Lo scontro tra le truppe di regime e i ribelli anti-Raìs si sta dunque avvicinando a una svolta: "La Cirenaica è di nuovo quasi completamente nelle mani di Tripoli", ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini, nell'audizione al Senato davanti alle Commissioni Esteri del Parlamento. "Bisogna mantenere sangue freddo e seguire ciò che la comunità internazionale ha deciso favorendo processi politici e non bellici che portino all'evoluzione di una nuova Libia". Frattini non ha risparmiato critiche alla comunità internazionale: "L'Italia è stato il primo e unico paese europeo a portare aiuti a Bengasi. Non abbiamo visto molte altre bandiere di paesi che avevano dichiarato grande sostegno all'opposizione di Bengasi. Nella città si respira il sentimento di una comunità internazionale che ha fatto grandi annunci che non si sono tramutati in grandi azioni". PRODUZIONE DI PETROLIO SOSPESA - Per far fronte alla guerra civile in corso in Libia, Eni ha interrotto la produzione di petrolio nel paese nord africano. Lo ha detto l'ad Paolo Scaroni a margine di un'audizione alla Camera. La decisione è arrivata in seguito a "problemi nelle spedizioni". Eni, ha proseguito Scaroni, al momento "produce gas per le popolazioni locali, per uso domestico. Abbiamo tre centrali nella zona di Tripoli. Questa è un'attività importante per le popolazioni locali. Stiamo inoltre lavorando per fare esentare questa attività da eventuali sanzioni che dovessero prendere Stati Uniti, Unione europea o Italia. Per questo siamo in contatto con la signora Clinton, con la signora Ashton e con Frattini. Se questa attività non dovesse essere considerata legittima non la faremmo più, però dobbiamo essere consapevoli che se non la facciamo buona parte della Libia spegne la luce", ha proseguito Scaroni. Il manager ha ad ogni modo sottolineato che "non sono "ssolutamente compromessi i rapporti con la Libia. Noi manteniamo i rapporti con la National company che è il nostro interlocutore naturale". LA NO-FLY ZONE - E mentre la situazione il Libia continua ad essere drammatica, nuovo incontro tra i membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite per discutere sulla situazione nel paese, dopo che ieri i sostenitori di una no-fly zone hanno introdotto una bozza di risoluzione per fermare l'avanzata delle forze del Colonnello. Il piano è stato presentato dal Libano, unico membro arabo del Consiglio, a nome della Lega araba. Quest'ultima aveva chiesto l'imposizione del controllo aereo, sostenuto anche da Francia e Regno Unito, che avevano abbozzato gli elementi di una risoluzione per la no-fly zone già la scorsa settimana. Ma mentre Parigi e Londra esortano per una rapida azione, Russia e Germania hanno espresso dubbi. Per Tarhouni, le sanzioni imposte al Rais non saranno sufficienti a fermarlo. Scetticismo sulla no-fly zone arriva anche dagli stessi ribelli libici: “Credo che sia una vergogna la posizione da codardi assunta dal mondo occidentale, soprattutto gli Stati Uniti, che si propongono come difensori della democrazia e dei diritti umani”. E' il duro commento di Ali Tarhouni,esponente degli insorti e membro della commissione Economia e petrolio del Consiglio provinciale costituito nell'est della Libia. “Non chiediamo molto, solo la creazione di una no-fly zone”. L'atteggiamento del presidente Usa Barack Obama, a suo giudizio, è in “netto contrasto” con quanto affermò nel 2009, in uno storico discorso ai musulmani pronunciato al Cairo. “Obama fece un appello per la democrazia e la libertà e ora il minimo che possa fare è appoggiare la no-fly zone - ha detto - Il sangue del popolo libico non è a poco prezzo, a noi costa caro versarlo”. "IRRINTRACCIABILI" 4 CRONISTI DEL 'NYT' - La redazione centrale del New York Times, intanto, ha fatto sapere di aver perso i contatti con quattro suoi inviati in Libia. Le ultime comunicazioni con i giornalisti risalgono a martedì mattina. Si tratta del premio Pulitzer Anthony Shadid, capo dell'ufficio di Beirut, di Stephen Farrel e dei fotografi Tyler Hicks e Lynsei Addario. Il direttore esecutivo del quotidiano newyorchese, Bil Keller, in un rapporto pubblicato sul sito internet del quotidiano, riferisce che i funzionari libici hanno detto al giornale di essere impegnati a trovare i giornalisti. Keller ha anche affermato che il New York Times è grato al governo libico per la sua rassicurazione sul fatto che "se i nostri giornalisti fossero stati catturati, verrebbero immediatamente rilasciati".