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Nato, ora non puoi più far finta di nulla salvaci da terroristi, francesi e inglesi

Allarme Italia: partner Ue ci hanno trascinato nel conflitto. Impossibile uscire, bisogna trattare con insorti / CERVO

Andrea Tempestini
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La consolidata abilità dell'Italia a «prenderlo in quel posto», per usare la metafora del ministro per le Riforme Umberto Bossi, ha a disposizione due orizzonti temporali per il proprio dispiegamento. Uno, nel breve, è legato alla capacità di interdire – anche con interventi sul campo – le due minacce che Gheddafi ha rivolto contro di noi quando ha promesso «la fine di Hitler e Mussolini» ai nostri governanti: clandestini e terrorismo. Il secondo, di medio e lungo periodo e connesso all'evoluzione del conflitto, riguarda la centralità o meno nell'area del Mediterraneo. Su entrambi i fronti, i rischi sintetizzati dal Senatur sono elevati: quelli di una guerra sulla pelle dell'Italia, per evitare le perifrasi più volgari che giravano ieri. La situazione di Lampedusa mostra la possibilità per Gheddafi di far arrivare in tempi rapidi barconi che, a non voler perdersi in discorsi sull'emergenza condivisa a livello europeo, restano un problema tutto italiano. Anche perché il pattugliamento  congiunto al largo delle coste era uno dei punti più cogenti del Trattato di amicizia sospeso ormai un mese fa. LA VENDETTA La vendetta del dittatore espone poi le nostre truppe, sia nel Mediterraneo, sia nei cieli, sia – dovesse rendersi necessario – a terra, a pericoli forse più alti rispetto agli altri, visti i rapporti tra Italia e Libia, al di là dei baciamano. Lockerbie, Berlino e altri episodi sono brividi che la memoria ci restituisce sudando. Sul fronte terroristico, valgono le parole di Massimo D'Alema, che ieri ha ribadito – in modo più cauto – che «siamo una delle aree immediatamente esposte ad azioni ritorsive». Da monitorare con grandissima attenzione sono le migliaia di libici regolarmente residenti in Italia, molti dei quali sono integrati con le modalità previste dallo stesso Trattato. Viceversa, benché molti italiani abbiano ovviamente lasciato Tripoli, alla Camera di Commercio italo-libica ci sono 180 piccole e medie imprese registrate le cui sorti non possono non dare preoccupazione. Su questi drammi parlerà l'attualità delle prossime ore. Ancora più delicato è quanto seguirà. La foga francese nell'interpretare aggressivamente la risoluzione Onu la dice lunga sui propositi di Sarkozy di mettere le mani sul dopo-Gheddafi, incognita forse più insondabile del dopo Saddam. Ecco, qui l'Italia ha moltissimo da perdere: il Trattato imponeva sì grandi spese che potremmo perfino cinicamente risparmiare, ma ci impegnava anche in contratti che rappresentano investimenti straordinari per le nostre imprese. È sui destini delle commesse di Impregilo (roba da oltre 1 miliardo di euro), Finmeccanica, Eni, Ansaldo, Friulana Bitumi, Iveco e molti altri che rischia di spuntare un gigantesco punto interrogativo con risposte in lingua francese o inglese. Più in generale, la Libia rappresenta il primo partner da cui l'Italia importa in tutta l'area del Nord Africa e Medio Oriente:  10,6 miliardi di euro nel 2010; ed è il sesto nelle esportazioni: 2,4 miliardi. Per non parlare delle quote congelate: altrettanti macigni di ghiaccio nelle pance di Unicredit, Finmeccanica, Juventus e altre società. GLI AFFARI IN GIOCO La partita del dopo-Gheddafi (ormai, come ha ammesso ieri il ministro Frattini, è impensabile che le forze alleate si fermino senza aver ottenuto la caduta, più o meno concordata, del raìs) si gioca su queste cifre, e sui riequilibri che potranno fare seguito alla conclusione dell'intervento militare. L'Italia tifa per un coordinamento Nato (nella notte prosegue un vertice delicatissimo tra le pressioni opposte di Francia e Turchia) che sottragga forza politica alla Francia e alla Gran Bretagna, protagoniste fin qui di un'escalation illeggibile senza gli occhiali dell'economia (c'è chi vede le mire sul Nordafrica e la scalata Lactalis-Parmalat come figlie di un'unica ambizione). Se il cappello atlantico finirà, almeno dopo la prima fase, sull'operazione che vede fino qui gli Stati Uniti poco incisivi e quasi scollati, per il nostro Paese la prospettiva potrebbe migliorare. Dalla “nostra” giocano i fortissimi malumori che han creato, tanto in Europa quanto nella Lega araba, i furori bellici di Sarko e Cameron. USCITA DI SICUREZZA Per ora resta un'esposizione fortissima dell'Italia, alla quale non era pensabile sottrarsi vista la posizione dell'Onu e dei nostri alleati. Ora che tornare indietro non è più possibile, tocca sporcarsi le mani fino in fondo per limitare i danni, come ieri ha fatto capire il ministro La Russa. Il bicchiere mezzo pieno, in mancanza d'altro, è nella tempestività con cui il governo si è mosso per stabilire contatti con gli insorti (il cui status è tuttora molto labile), e ci dà un potenziale, piccolo vantaggio competitivo per evitare la profezia di Bossi. di Martino Cervo

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