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Gianfranco ora scivola sull'economia: non sa nemmeno copiare

Rinnega Biagi: "Inaccettabile la flessibilità". Così Fini cambia idea come bandierina nella tempesta / BECHIS

Andrea Tempestini
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Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, quando parla di contratti di lavoro, ne ha in mente uno solo: il suo. O almeno quello che lui ha interpretato così. È  il famoso contratto “fora di ball mai”, che in barba a statuti dei lavoratori, articoli 18, al povero Marco Biagi e a frotte di giuslavoristi, ha un solo articolo: “me ne vado solo quando dico io”. Sarà con questa fissa in mente che Fini quando parla di contratti di lavoro altrui pasticcia un po'. Gli è capitato l'altro giorno a Marsala, città dal vino robusto che solo a piccole dosi non annebbia la mente. Lì Fini voleva lisciare il pelo ai precari che manifestavano nelle piazze italiane e allo stesso tempo sentirsi “à la page” citando le proposte sulla materia vergate sul Corriere dal nuovo trio Pietro Ichino-Luca Cordero di Montezemolo-Nicola Rossi. Solo che l'articolo l'aveva scorso frettolosamente sulla rassegna stampa della Camera, e così il discorso di Fini ai precari è divenuto una sorta di maionese impazzita. Il presidente della Camera è partito lancia in resta: «È  meglio un contratto di lavoro unico per le assunzioni a tempo indeterminato anziché questa inaccettabile flessibilità con tante tipologie contrattuali». E già questo non era male per un uomo politico che ogni 19 marzo rende omaggio al padre di quei contratti “inaccettabili”, quel Marco Biagi della cui amicizia Fini si onorava promettendo di difenderne la memoria e di portarne avanti le battaglie. Sembrava trascorsa una vita da quel 1° febbraio del 2006 in cui proprio Fini tuonò dai microfoni di “Radio anch'io”: «Se in Italia siamo percentualmente al livello più basso di disoccupazione il merito è delle riforme coraggiose del governo e in particolare quella che porta il nome  di un martire che è Marco Biagi». E mica se la cavò con lo slogan alla memoria. No, Fini continuò: «In un mondo come quello di oggi l'alternativa non è fra contratto a tempo indeterminato e flessibilità, ma fra flessibilità e precarietà». Certo, nessuno si stupisce se il presidente della Camera cambia idea come una bandierina in mezzo alla tempesta: alle sue giravolte ha ormai abituato tutti. Ma quel che ha detto a Marsala sui contratti di lavoro è proprio l'esatto contrario di quanto rivendicato per anni sventolando la bandiera del povero Biagi. Deve essersene accorto lo stesso Fini lì per lì, e infatti ha condito la giravolta con una successiva in senso opposto: «Però diamo ai datori di lavoro la possibilità di licenziare!»  Toppa peggio del buco. Sai che bel contratto a tempo indeterminato che offri ai giovani se poi liberamente dopo pochi mesi il datore di lavoro può dare loro una pedata sul fondo schiena! Così pochi minuti dopo la terza giravolta è toccata al povero e bravissimo portavoce del presidente della Camera, Fabrizio Alfano. Che ha inseguito le agenzie, per correggere, smussare, dire che forse si era frainteso, e infine ancorare le parole in libertà del suo leader giuslavorista della domenica almeno a un testo un pizzico più ferrato, come quello presentato alla Camera dal capogruppo Fli Benedetto Della Vedova. Ma la raffica di parole in libertà non è passata inosservata. Così ieri il povero Fini è stato bacchettato sulle dita come un qualsiasi scolaretto un po' asinello sulla prima pagina del Sole 24 Ore. A fare lezione - per nulla intimorito dalla carica dello scolaretto ripetente - uno dei principi dei giuslavoristi, lui sì cresciuto fianco a fianco di Biagi: Michele Tiraboschi. Che ha spiegato a Fini come la sua idea di contratto unico a tempo indeterminato per risolvere il problema del precariato non solo è assai banale, ma non è stata immaginata da nessuno «neppure nei regimi comunisti», che non avevano osato «ingabbiare la multiforme e sempre più diversificata realtà dei moderni modi di lavorare e produrre in un unico schema contrattuale. Vietando, di conseguenza, le forme di lavoro coordinato e continuativo, ancorché  genuine». Bel successo, povero Fini: mentre è lì ad arrovellarsi sulle alleanze da fare o no con il Pd alle amministrative, se ne esce con una cosa che gli sembra quasi liberal e centrista (scopiazzando da Montezemolo) e si sente invece paragonare da uno dei grandi intellettuali liberal a Breznev o Stalin. Magra consolazione, Fini è in buona compagnia: di precari e contratti a parte pochi slogan in piazza mastica poco perfino il leader del Pd, Pier Luigi Bersani. Si pensi che il povero Giulio Tremonti qualche mese fa l'aveva chiamato al ministero per coinvolgerlo nei grandi progetti di riforma dell'economia. Bersani ascoltò e annuì. Poi disse: «Ti seguo su tutto. Ma prima tu assumimi i 73 mila precari della scuola, che a me servono...». di Franco Bechis

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