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I manifesti "Via Br da procure" dividono il Pdl ma uniscono i pm: indagato Lassini

Spataro: "Vilipendio all'autorità giudiziaria". L'autore è candidato nelle liste Moratti. Lui: "E' reato d'opinione"

Giulio Bucchi
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Vilipendio all'autorità giudiziaria. La Procura di Milano ha aperto un fascicolo ai danni di Roberto Lassini e altre due persone responsabili dei manifesti della discordia, quelli apparsi la scorsa settimana per le vie di Milano con lo slogan "Via le Br dalle procure". L'inchiesta è stata aperta dal pubblico ministero Armando Spataro. Poche ore prima, il candidato sindaco del Pd alle Comunali del prossimo maggio, Giuliano Pisapia, aveva incalzato: "Sono manifesti deliranti e diffamatori di cui i responsabili dovrebbero vergognarsi e non si dica che l'autosospensione valga qualcosa perché, dal punto di vista giuridico, è solo una presa in giro per i milanesi". L'AMMISSIONE - L'autore dei manifesti, Roberto Lassini, era già uscito allo scoperto: "I manifesti sui pm-Br? Li ho inventati io, ma non mi autosospendo". Ed è stata subito bufera sul politico ex Dc, candidato nella lista del Pdl alle prossime elezioni comunali di Milano in sostegno del sindaco uscente Letizia Moratti. In un'intervista al Giornale, Lassini ha ammesso che l'espressione "è molto forte", confermando però la volontà di restare nelle liste elettorali. Lassini non è iscritto al Pdl e ha partecipato alla convention organizzata domenica da Letizia Moratti nonostante non la conosca personalmente. Domenica mattina il coordinatore lombardo del Pdl, Mario Mantovani, ha spiegato che Lassini rimarrà in lista "lasciando agli elettori il giudizio". Nel pomeriggio, è la stessa Moratti ad annunciarne la sospensione: "Ho già stigmatizzato questo comportamento, le istituzioni vanno tutte rispettate, so che si è autosospeso". Ma Lassini smentisce: "E' un grande equivoco, il coordinamento regionale del partito ha ribadito la mia candidatura. A parte i problemi formali e giuridici, mi sembra paradossale che per un presunto caso di reato d'opinione come è il vilipendio, il Pdl mi possa fare una richiesta del genere". "NON MOLLO" - Resta il braccio di ferro col partito. Anche il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi ha incalzato: "Il manifesto ha la ferma condanna mia personale, del partito nazionale e locale. Non c'è giustificazione né legittimazione". Lassini prende le distanze dagli autori materiali dello slogan ("Ci metto la faccia ma non posso però pentirmi di una cosa che non ho fatto. Chi ha fatto i manifesti ha senz'altro esagerato") ma si oppone alla gogna: "Andiamo a rispolverare il Codice Rocco per il reato d'opinione? Non sono indagato e, da avvocato, penso non ci siano proprio i presupposti per esserlo. Certo, la frase rispecchia lo stato d'animo di un'associazione che ho creato per fare battaglie sulla giustizia ma sono lontanissimo da chi non rispetta le vittime del terrorismo". Un'avversione, quella a certa magistratura, che trae origine dalle vicende personali del candidato Pdl al Consiglio comunale. Ex Dc, nel 1993 fu arrestato per presunte irregolarità nei rapporti fra un consorzio di imprese e la centrale Enel di Turbigo, piccolo centro della provincia di Milano, di cui era giovane sindaco. Accusato di tentata concussione, passò 42 giorni nel carcere di San Vittore assieme a Gabriele Cagliari, poco prima che il presidente dell'Eni si suicidasse. Cinque anni dopo, Cagliari venne assolto da tutte le accuse. Dopo quel periodo, Lassini ricorda di aver provato "una grande nausea per la politica". Adesso "sono ringiovanito", grazie a Berlusconi. E sui manifesti basta polemiche: "Non c'è vilipendio quando si attacca Berlusconi, e c'è quando vengono fatti dei manifesti?".

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