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Riforma per far vivere il bipolarismo, ecco la ghigliottina per Fini

Si perfeziona la legge per introdurre al Senato un premio di maggioranza nazionale. Non più regionale / CARIOTI

Andrea Tempestini
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Il Pdl non è così sicuro che l'attuale legislatura arrivi a scadenza naturale, e cioè che si voti nel 2013. Lo si capisce anche dall'accelerazione degli ultimi giorni per approvare una nuova legge elettorale. Una vera e propria norma ammazza-Fini e ammazza-Casini, che il partito del premier conta di varare in tempi rapidi. Il disegno di legge, composto da cinque articoli, sta subendo in queste ore gli ultimi ritocchi ad opera delle teste d'uovo berlusconiane: Gaetano Quagliariello, Lucio Malan e Peppino Calderisi. I quali intendono presentare il testo al Senato tra oggi e domani. Scopo della norma è far sopravvivere il fragile bipolarismo italiano agli assalti dei centristi, assegnando ad ambedue i rami del Parlamento una maggioranza stabile e ampia. Al momento, grazie al premio di maggioranza nazionale, questo avviene solo a Montecitorio. Non a palazzo Madama, dove i premi sono concessi su base regionale, col risultato che dalle urne rischia di uscire un Senato nel quale né il polo di destra né quello di sinistra hanno la supremazia numerica. È ciò che sperano i centristi, i quali con pochi voti - ma con un pugno di senatori decisivi - contano di ipotecare la prossima legislatura. Il disegno di legge, se approvato, impedirà loro questa operazione, strozzando così il terzo polo nella culla: chi vincerà le elezioni avrà anche un saldo controllo del Senato, senza bisogno di scendere a patti con Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini. L'attuale legge elettorale, come si sa, non è quella che il centrodestra avrebbe voluto varare nel 2005. Forza Italia, An e Lega puntavano a introdurre il premio di maggioranza nazionale in ambedue i rami del Parlamento, proprio per favorire la stabilità dei governi. Fu l'allora presidente della repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, consigliato dal segretario generale del Quirinale, Gaetano Gifuni, a bloccare l'operazione, sostenendo che il premio nazionale non era applicabile a palazzo Madama, giacché la Costituzione stabilisce che il Senato deve essere «eletto su base regionale». La Casa delle Libertà, di cui faceva parte anche l'Udc, ripiegò allora per un premio di maggioranza su base regionale. Il meccanismo si è rivelato ad alto rischio, e solo per miracolo in questa legislatura il Senato si è trovato ad avere una maggioranza tutto sommato ampia: evento difficilmente ripetibile. La Costituzione, però, è rimasta la stessa. Come risolvere il problema? L'idea del Pdl è l'uovo di Colombo: il premio di maggioranza viene calcolato su base nazionale, e alla singola lista o alla coalizione che ha preso più voti dagli italiani sono assegnati comunque 170 seggi su un totale di 317. Questo premio viene però ripartito, «con criterio di proporzionalità», tra le varie regioni. In tal modo, secondo il Pdl, la “regionalità” elettorale prevista dalla Costituzione è rispettata e la stabilità del governo garantita. Tesi confermata in passato anche da politologi vicini al centrosinistra, come Roberto D'Alimonte. L'altra grande novità prevista dalla nuova legge è la definizione di collegi elettorali più piccoli. All'interno delle regioni per il voto al Senato e delle 26 circoscrizioni per il voto alla Camera saranno ritagliati numerosi collegi chiamati «plurinominali», in ognuno dei quali si potranno presentare liste contenenti dai cinque ai nove candidati. Basta, insomma, con le liste-lenzuolo composte da una quarantina di personaggi che molti elettori si sono trovati davanti alle ultime tornate elettorali. Porte sempre chiuse, infine, al voto di preferenza: reintrodurlo, spiegano nel testo i senatori del Pdl, «farebbe lievitare i costi delle campagne elettorali, favorendo i fenomeni degenerativi della politica, e comporterebbe inevitabilmente la scelta di un modello di partito basato sulle correnti». Gli autori assicurano che la proposta non è fatta apposta per liquidare i finiani e gli altri centristi. Spiega Malan: «La nostra legge, molto semplicemente, è scritta per mantenere i vantaggi dell'attuale norma eliminandone alcuni aspetti critici». Concorda Quagliariello, per il quale «più che la rappresentanza, una legge elettorale deve garantire ai cittadini la possibilità di scegliere un governo. Questa legge lo ha fatto. Il suo vero limite non è la mancanza delle preferenze, ma l'assenza di un premio di governabilità al Senato e la presenza di liste troppo ampie, che impediscono agli elettori di valutare correttamente i candidati». Alla domanda se il Pdl si aspetti un qualche aiuto da parte del Pd, cui pure converrebbe una simile riforma, la risposta di Quagliariello è impietosa: «No, nessuno». La proposta, insomma, non avrà vita facile in Parlamento. Ma il giorno in cui dovesse diventare legge, per i centristi sarebbe la fine. Qualcuno (Casini) avrebbe comunque modo di riciclarsi, a destra o a sinistra si vedrà. Qualcun altro (Fini) si troverebbe invece nel cul de sac della politica. di Fausto Carioti

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