L'elogio del maschio con le palle: alle donne piace "fascista"
In rima. La poetessa romana Gemma Gaetani ne ha abbastanza dei damerini depilati: vuole "un cuore brutale"/ LANGONE
Quest'anno, ho deciso, il 25 aprile lo passo con Gemma Gaetani. Non con la poetessa romana in persona, ma col suo libro prodigiosamente intitolato Ogni donna ama un fascista, pubblicato con audace tempismo da Vallecchi (pp. 128, euro 10) in questi giorni insopportabilmente retorici (però, grazie a Dio, anche pasquali). Lo so che rischio di peggiorare la mia già cattiva fama: solo pochi giorni fa ho presentato a Parma un romanzo su Casa Pound fra le proteste degli antifascisti, adesso mi cimento nell'elogio di un testo dal titolo molto poco costituzionale. Ma bisogna leggerli i libri, mica fermarsi alle copertine. “Fascista” è qui da intendersi in senso lato, non politico bensì antropologico. Lo spunto viene dai versi più famosi (giustamente famosi) della poetessa americana Sylvia Plath: «Ogni donna ama un fascista / lo stivale sulla faccia / e il cuore brutale / di un bruto a te uguale». Mi pare chiaro che si stia parlando non di Benito Mussolini, ma di un Marlon Brando dei vecchi tempi o di un Vincent Cassel dei nuovi, vale a dire di un uomo munito di tutti gli attributi. Il libro di Gemma poteva intitolarsi benissimo “Nostalgia del vir”, solo che avrebbe venduto ancora meno. Già è un libro di poesie (non ve l'avevo detto? Ebbene sì, è un libro di poesie), senza un titolo appetitoso al momento delle prenotazioni sarebbe sprofondato. Anche se poi non somiglia nemmeno lontanamente alla solita poesia esangue per addetti ai lavori: Ogni donna ama un fascista è talmente narrativo, scorrevole, anti-intellettuale da poter piacere, se solo la distribuzione editoriale glielo facesse cadere tra le mani, alle femmine e ai bruti che non hanno mai sentito nominare Maurizio Cucchi e nemmeno Andrea Zanzotto. INNO ALLA VIRILITA 'È un inno alla virilità e alla femminilità che ne consegue: «Sa l'uomo vero di essere un mammifero / un animale maschio, e vuole tanta / area mammaria». E Gemma gliela dà, non in copertina dove appare pressappoco coperta da uno strategico mazzo di rose, ma in componimenti quali “Latte alla Patria” e in versi dove si esaltano «due seni belli e pieni», «seni nazionali e popolari». Sarà davvero succulento il 25 aprile trascorso con questo libro spericolato che una poetessa laureata, una giurata salottiera del Premio Strega, mai avrebbe osato firmare: l'ha scritto una figlia di nessuno, quindi una figlia dell'Italia, una donna con un impiego normale, non culturale, che non abita ai Parioli ma dalle parti del Raccordo Anulare in quello che Pasolini (o era De Gregori?) definì «lo Sprofondo». E pure chi non conosce Roma ha capito benissimo. Scorre sangue fresco dentro il volumetto, magari non fascista però piuttosto destro, di certo reazionario: «La donna che lavora è un controsenso. / Non è rivoluzione, è involuzione. / Con gran sincerità, io questo penso / e per me è un dogma, non un'opinione”. Lo avete capito: non è un'amante del dialogo, Gemma Gaetani. Non ha nessuna voglia di discutere, il suo è un prendere o lasciare. Se vi interessa il dibattito sulle quote rosa, sui diritti, sulle pari opportunità girate alla larga, rivolgetevi altrove. Il nucleo duro si intitola “Agli uomini non veri”, 19 pagine di disprezzo assoluto, poesia feroce contro gli ectoplasmi di sesso all'incirca maschile in cui evidentemente si è imbattuta. (Nella sua opera non c'è nemmeno un verso che non appaia autobiografico: autobiografia personale e insieme autobiografia di una generazione). Dalla parte delle donne «che si devono comperare, da sole, le case / che devono vivere da sole le vite / che devono risolvere da sole ogni problema che hanno», si scaglia contro certi signorini «zuccherosi come gattini / dimentichi del fatto che il gatto adulto quando possiede la gatta / la tiene per il collo con i denti». CONTRO I MISCREDENTI - Trasfigurata dall'odio prende un tono da profetessa veterotestamentaria e il suo diventa un salmo imprecatorio, tipo quelli che Paolo VI ha eliminato dalla liturgia perché i moderni cristiani mollaccioni si prendevano paura: «Diventa un tradizionalista / inizia a credere in Dio / e chiedigli pregandolo il miracolo / di farti diventare un vero uomo / oppure ammazzati». Non è un'uscita estemporanea, ce l'ha proprio con i miscredenti e in più punti li maltratta come nessun cattolico ufficiale, nessun cattolico da conferenza che legge Avvenire e compulsa Tettamanzi, avrebbe il coraggio di fare e nemmeno di pensare: «Sono atei o agnostici / e lo dicono con fierezza / perché hanno letto due libri / tre frasi di Nietzsche / mezza di Carmelo Bene / quell'idiozia / dell'apparire alla Madonna». Insomma, mi sto preparando a vivere un fino a ieri inimmaginabile 25 aprile integralista. Non più “Bella ciao” ma “Bello addio”: il damerino liscio, depilato e fotogenico è invitato a lasciare il campo a chi sa cambiare una ruota, a chi è capace di difendere la fidanzata dai malintenzionati, pagarle la cena e consentirle di licenziarsi. Perché una vera donna lavora solo in casa, per il suo vero uomo. Ma esiste in natura un simile esemplare? O soltanto nel mondo dei sogni? Anche l'autrice sembra dubitarne e pagina dopo pagina si consola vituperando debosciati fino al debosciatissimo che dice: «Sono gay, l'ho capito grazie a te». Deve ancora venire il 25 aprile che ci liberi dagli uomini non veri. di Camillo Langone