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Ritratto insolito di Wojtyla, "Papa santo e cattivo"

La beatificazione di Giovanni Paolo II non cancella, anzi esalta l'umanità di chi combattè comunismo e morte / FARINA

Giulio Bucchi
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La prima e unica persona che mi disse: «Wojtyla è un uomo cattivo» fu Oriana Fallaci. Aveva timore di lui. Sosteneva che gli avesse rubato i diritti d'autore di “Lettera a un bambino mai nato” pubblicandola a puntate in Polonia negli anni '70, senza chiederle il permesso e senza pagarla. Oriana si sarà intesa sul risarcimento, nel frattempo. (Adorava Ratzinger: per lei era la dolcezza purissima dell'intelligenza, il miele della ragione. Giovanni Paolo II le dava l'impressione di sfondare a pugni il destino. La poesia del Polacco non aveva per lei l'incantevole logica della prosa di Ratzinger, ma entrava nelle cose senza bussare). Wojtyla, grande e duro. Ecco, di questo forse ancora non si è scritto di questi giorni, anche perché - per una specie di contaminazione del cristianesimo con la new age - la santità è intesa come caramelle-per-tutti. Bugia. Essa è dramma, anche quando attinge l'amore, che neanche lui peraltro è un pasticcino da tè.  Vorrei anch'io scrivere della bontà del Papa, del fatto che pregava perché i malati guarissero sdraiato ai piedi dell'Ostia prima dell'alba, della sua capacità di perdono e della tenera misericordia di Dio che sgorgava dai suoi occhi eccetera. Ma la sua bontà aveva le nocche dure, era una bontà tremenda, da soldato come lo fu suo padre. Bastava guardare i suoi piedi per capire come fossero nati per camminare dove c'era bisogno ma anche per sfondare a calci le porte del regno delle tenebre per conquistarlo. Sin dalla prima enciclica è stato chiaro. Nella “Redemptor hominis” introdusse una definizione dei cristiani poco usata e mai citata nelle rievocazioni di maniera: «i violenti di Dio». L'aveva trovata in san Paolo, il quale lo precedette nel definire la vita un combattimento.  Cattivo con il male, questo sì. Cattivissimo. Su Libero nel settembre del 2001 raccontai di come avesse affrontato in San Pietro il diavolo in persona, cacciandolo via da una povera ragazza con parole che avevano impaurito il maligno. Non ci fu smentita. San Bernardo di Chiaravalle era giunto non ad autorizzare ma a spingere alla violenza, coniando il termine di “malicidio”: se annichili il malvagio che assalta il debole e lo abbatti, non uccidi un uomo ma il male. Io credo abbia applicato questa durezza, questa cattiveria da monaco-guerriero nei confronti di se stesso. Non si è mai riguardato. Mi disse un giorno di se stesso: «Sono un vecchio Papa ma cammino nelle montagne».  Nelle montagne, non sulle montagne. Dentro le montagne. Nella roccia. I suoi funerali non sono stati color ciclamino, con la rugiada sulla bara. C'era un vento gagliardo, il cielo scompigliava le pagine del Vangelo come fosse la chioma di una vedova disperata. Conviene raccontare alcuni momenti di questa cattiveria. Per piccoli episodi in cui c'è tutto lui. 1) Nessuna delicatezza con il comunismo. Andò in Polonia e non obbedì in nulla al regime che voleva spazi limitati, prediche gentili. Era il 1979. Aveva 59 anni ed era definito “l'atleta di Dio”. Più che altro era un Arcangelo Michele con la spada contro gli oppressori. Si inginocchiava commosso dinanzi alla Madonna Nera, e incoraggiava la resistenza in nome della fede e della libertà. Per questo - con ogni probabilità, lo si evince anche dal dossier Mitrokhin - Breznev e gli altri capi di Stato del Patto di Varsavia decisero che bisognava eliminarlo. Scrisse a Mosca dicendo che se i sovietici avessero invaso la Polonia si sarebbero trovati davanti lui in persona. 2) Non tollerava il dissenso in tema dottrinale. La fede era il tesoro dei poveri, guai a chi lo depreda e ci mette perle false. Era da poco Papa e mise subito fuori gioco Hans  Küng, negandogli la possibilità di chiamarsi e di insegnare come “teologo cattolico”. Questo svizzero era il numero uno (e si sostiene lo sia ancora) nel ramo. Ovvio: ci pensò il suo pupillo cardinal Ratzinger a sistemare la questione. Ma l'input fu di Wojtyla, che non volle vedere Küng  neanche dipinto. Lo stesso fece con i teologi della liberazione. Era andato a Puebla in Messico. Spiego che era «Cristo e ciò che da Lui deriva» la liberazione degli uomini e dei popoli, e che il marxismo impugnato dai vari Boff e Gutierrez  era la negazione della giustizia. Ebbe mano pesante anche con l'arcivescovo Lefebvre, che da destra lo accusava di difendere un Concilio eretico. 3) Si schierò contro le dittature dovunque nel mondo. Incontrava tutti, ma dicendo il fatto loro. Il caso più clamoroso fu in Nicaragua, nel 1983. Il regime sandinista (cattocomunista e guerrigliero) gli organizzò uno scenario per la messa da paura. Con le immagini non di Cristo ma dei soldati rivoluzionari e la folla che gli urlava contro nelle prime file. Lui tirò dritto. Al prete-ministro Ernesto Cardenal, che gli si era buttato platealmente in ginocchio davanti, e che il Papa aveva già sanzionato per aver disobbedito, rifiutò in mondovisione ogni benevolenza. Si vide il suo dito che redarguiva. Il labiale è stato decifrato: «Usted tiene que arreglar sus asuntos con la Iglesia!», lei deve regolare i suoi conti con la Chiesa!   Lo considerarono per questo tradizionalista, reazionario. 4) Anche con i giovani, specie quelli occidentali, non mollò mai nulla in tema di morale sessuale. Di aborto e di metodi contraccettivi neanche a parlarne. A chi lo invocava di essere più accomodante, più vicino allo spirito dei tempi, rispose che «Non sono io a inventare la dottrina della Chiesa, non cambio le parole di Gesù». 5) Gentile ma fino a un certo punto con i giornalisti. Era sempre disponibile, ma non a costo della offesa. La Repubblica nel 1984 fece un'inchiesta in cui giunse a paragonarlo con il diavolo. A questo punto il vaticanista Domenico Del Rio fu squalificato per un turno dal volo papale. Navarro, il portavoce, non approvò ma obbediente riferì la parola del papa: «Vogliamo evitargli l'imbarazzo di viaggiare in compagnia del diavolo». Poi Domenico Del Rio testimoniò di aver imparato da Wojtyla a pregare e giunse a paragonarlo a un “Nuovo Mosè”. 6) Finemente duro in difesa delle donne, e mi si scusi se scivolo nell'aneddotica. Bisognerebbe parlare in positivo del suo modo di intendere il rapporto uomo-donna. Mi limito a un episodio. India, 1986. A Goa Wojtyla constatò che il vescovo locale, molto macho, aveva confinato le suore fuori della chiesa (sotto l'altare c'è il corpo imbalsamato di san Francesco Saverio), e di aver ospitato solo i frati. Il Papa guarda storto, non dice niente. Ci fu la cena. Ci invitò la giornalista Palma Gomez Borrero, e per tutta la cena si rivolse solo a lei e alle suore. Non le vuole sacerdotesse, ma donne sì. Il prete è un lavoro da uomini, con molte ragioni teologiche. Ma, a costo di sfidare le contestazioni in America, neanche un filo di possibilità ha mai concesso. 7) Ultimo. È stato duro con la morte e con la malattia. Durissimo. Cattivo. Più cattivo della malattia e della morte. Le ha maltrattate. Non ha accettato il loro dominio. Andò in Azerbaigian e in Bulgaria (2003) facendosi calare dall'aereo come una statua bianca con imbragature da cantiere edile. Negli ultimi tempi non riusciva a pronunciare le parole, non deglutiva più. E allora davanti al mondo batté sul leggio un pugno con tutta la sua povera forza di moribondo. Era un pugno forse anche a Dio. Io così l'ho amato tanto. di Renato Farina

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