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Mafia, minacce al Cav: "Accordi o stragi"

Brusca: "Richieste sul 41 bis, trattativa subito arenata". Poi inguaia i giudici: "Bombe, Berlusconi non c'entra. Committente Stato? Mancino"

Andrea Tempestini
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Giovanni Brusca per la prima volta in un dibattimento pubblico fa il nome del senatore Nicola Mancino: per il pentito sarebbe il personaggio politico indicato da Riina, circa 20 giorni prima della strage di via d'Amelio, come il "committente finale" della trattativa tra mafia e stato. Ma nella deposizione nell'aula bunker di Firenze, nell'ambito del processo contro Francesco Tagliavia per le stragi del '93, Brusca spazza via altri dubbi: "Berlusconi e Dell'Utri non c'entrano nulla con le stragi. Come mandanti esterni, l'ho sempre detto, non centravano nulla", ha spiegato Giovanni Brusca. LA TRATTATIVA MAI NATA - Secondo l'allora boss di San Giovanni Jato, però, la mafia ha cercato un contatto con Berlusconi e Dell'Utri. Agli inizi del 1994 Cosa Nostra avrebbe incaricato Vittorio Mangano, già stalliere ad Arcore, di sondare con il Cavaliere un'eventuale disponibilità alla trattativa. "Se non avessero accettato le nostre richieste, come ad esempio la concessione della revisione del maxi processo e la fine del 41 bis, noi avremmo continuato con gli attentati, a buttare le bombe", questo il messaggio della mafia a Berlusconi, contattato perché "si apprestava a diventare il presidente del Consiglio". Secondo Brusca, Dell'Utri avrebbe risposto a Mangano: "Mi metto a disposizione e vi ringrazio". La trattativa, però, non è mai nata: "Tutto si è bloccato con l'arresto di Mangano". "La speranza - ricorda il boss - era di far tornare lo Stato a trattare con noi, come aveva fatto fino al 1992 grazie all'aiuto dell'onorevole Salvo Lima. Lima era sempre disponibile, con lui potevamo contare su favori e accomodamenti. Lima si metteva a nostra disposizione e ci aiutava come porteva". IL NOME DI MANCINO - La trattativa con lo Stato, tra 1992 e 1994, ci fu eccome. Quindici-venti giorni prima della morte di Borsellino, Brusca incontrò Riina che gli disse: "Finalmente si sono fatti sotto, gli ho consegnato un papello con tutta una serie di richieste. Il tramite non me lo disse - ricorda Brusca -, ma mi fece il nome del committente finale. Quello dell'allora ministro dell'Interno, Nicola Mancino". Queste le parole con cui il pentito - mafioso già condannato a 20 anni per le stragi di Roma, Firenze e Milano - indica il nome di quello che secondo la sua dichiarazione sarebbe il 'committente' nelle istituzioni in quella che viene chiamata la trattativa tra Stato e mafia: su chi abbia mediato nella trattativa, sull'intermediario, nessuna nuova rivelzaione.  "E' la prima volta che lo dico pubblicamente (il nome di Mancino, ndr)", ha dichiarato Brusca.  Al presidente della Corte che gli chiede perchè non avesse fatto prima il nome di Mancino in un'aula, visto a tutti i processi a cui è stato sottoposto, Brusca ha risposto: "Non per paura", e ha aggiunto tutta una serie di motivi collegati alla "vita pesante" del  pentito. In un altro passaggio della sua deposizione, Brusca ha spiegato che "fino all'attentato al giudice Falcone, l'obiettivo di Riina era di influenzare il maxi processo di Palermo. Dopo di che subentrarono soggetti indicati in Marcello Dell'Utri e Ciancimino che volevano portare la Lega e un altro soggetto che non ricordo...a Riina". RISPOSTA EX MINISTRO - Mancino, in una nota, ha risposto alle dichiarazioni di Brusca. "E' una vendetta contro chi ha   combattuto la mafia con leggi che hanno consentito di concludere il  maxiprocesso e di perfezionare e rendere più severa la legislazione di contrasto alla criminalità organizzata", si è difeso l'ex ministro dell'Interno. "Se Riina ha fatto il mio nome è perché da ministro dell'Interno ho sempre sollecitato il suo arresto, e l'ho ottenuto". Mancino sottolinea le incongruenze di Brusca: "Una prima volta riferisce accuse apprese da Riina alla vigilia di Natale del 1992, mentre oggi parla di una data fra l'uccisione del giudice Falcone e la strage di via D'Amelio (quindi diversi mesi prima). Una confusione che inficia il contenuto delle confidenze di Riina". AGGRESSIONE ALLO STATO - Brusca, nel corso della sua deposizione, ha spiegato anche che la strategia mafiosa decisa dal capo dei capi, Totò Riina, di "attaccare lo Stato" fu presa dopo il maxi processo istruito da Giovanni Falcone. "La causa di tutto è il maxi processo", ha affermato Brusca. Al presidente della Corte che gli ha chiesto più volte se la strategia stragista decisa da Riina non fosse da ricondurre al regime del carcere duro inflitto ai mafiosi con l'articolo del 41bis, il pentito ha risposto: "Quello era un fatto momentaneo, entrato in corso d'opera. Ma la causa di tutto, ripeto, era il maxi processo. Del resto, l'attacco cominciò con l'uccisione di Falcone e poi di Borsellino. E se non ricordo male il regime del 41bis cominciò dopo Borsellino ". Tra i motivi che sarebbero stati all'origine dell'aggressione "al cuore dello Stato" ci sarebbero stati, secondo Brusca, "i maltrattamenti nelle carceri, le cosiddette violenze generalizzate" contro i detenuti mafiosi, in particolare quelli che avvenivano nelle carceri di Pianosa e dell'Asinara".

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