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Se per scovare il terrorista ci è voluta la tortura

Così hanno incastrato Osama. Metodo giusto? Panella: "Sì, salvate milioni di vite". Besana: "No, traditi i principi del mondo occidentale"

Andrea Tempestini
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Secondo un funzionario molto importante citato dal New York Times il rifugio di Osama Bin Laden sarebbe stato scoperto grazie alle indicazioni “estorte” ad alcuni detenuti di Guantanamo. Lo stesso famigerato campo di prigionia che il presidente Usa Barack Obama aveva promesso di chiudere in campagna elettorale, salvo poi ricredersi una volta entrato alla Casa Bianca. Ebbene, l'uccisione del ricercato numero uno al mondo sarebbe avvenuta grazie alle torture, in particolare il “waterboarding”, che nella prigione americana sull'isola cubana venivano a quanto pare ampiamente utilizzate per far parlare i detenuti. In particolare uno di loro avrebbe spifferato il nome del “corriere”di Osama, e da lì sono partite le ricerche che hanno portato, dopo anni, al successo finale. Il problema è che l'America è una democrazia, anzi, la democrazia per eccellenza. E qualsiasi democrazia, in quanto tale, condanna la tortura per principio. Seguono gli interventi di Carlo Panella (a favore) e di Renato Besana (contrario). Per salvare milioni di vite si può anche usar la violenza Vi siete mai chiesti come mai in Italia, a differenza che negli Usa, vi siano tanti pentiti di mafia? Avete mai visto la cella in cui è detenuto Totò Riina, l'anfratto di pochi metri in cui può “prendere l'aria”, il suo gabinetto, in cui è costretto a fare i suoi bisogni sempre sotto gli occhi della guardia carceraria, la sua celle sempre con la luce accesa,  il suo regime alimentare? Domande utili perché portano a una constatazione che è difficile negare: il regime imposto in Italia ai mafiosi tramite il “41 bis” rappresenta una forma di tortura psicologica soft finalizzata al pentimento, per evitare  nuovi delitti di mafia (e peraltro funziona perfettamente e induce con la sua violenza al “pentimento” anche i mafiosi più convinti). Pure, non vi è forza politica che si opponga alle torture soft previste dal 41 bis e la stessa Chiesa, sul punto, opportunamente tace. Perché questa strana acquiescenza nei confronti di una tortura soft? È semplice, perché è applicata a mafiosi, a criminali che sciolgono i bambini nell'acido. Mafiosi e non terroristi, e quindi criminali privi di qualsiasi motivazione politico-ideologica, che subito emerge quando si parli di torture, sia pure psicologiche, sia pure soft, da applicare a terroristi per evitare nuove stragi. Partiamo dunque da qui per affrontare il tema scabroso delle torture, su cui è difficile avere certezze granitiche. È assolutamente  apprezzabile la posizione di chi sostiene che la tortura - anche  quella psicologica - è comunque e sempre inammissibile. Ma non mi convince, neanche sotto il profilo etico. Se voi foste un agente dei servizi, e aveste catturato un terrorista, e sapeste con certezza documentale indubitabile che sa dove è stata messa una bomba nella metropolitana di una città europea - ma non sapete quale - che deve esplodere, non sapete in che giorno e questi si rifiutasse di dirvi dove è e quando esploderà, siete sicuri che fareste male a impiegare tutti i mezzi della più violenta pressione psicologica - impedire di dormire è devastante - per salvare decine, centinaia di vite umane? Io no. Sono certo che di fronte alla mia coscienza non potrei mai usare metodi di costrizione fisica - inclusa la tortura dell'acqua usata negli Usa contro membri di Al Qaeda - ma sono anche certo che costretto dalla violenza progettata dal  terrorista, quindi non libero di scegliere, per impedire che quella violenza si concretizzi, impiegherei tutti i mezzi di tortura psicologica possibile (terribile quella delineata in 1948 di George Orwell: la visione  ravvicinata, il contatto con l'animale che dà idiosincrasia), per non parlare dei purtroppo poco efficienti “sieri della verità”. Questo, naturalmente, a due condizioni, che si tratti non di un normale contesto, ma di un contesto di guerra, elemento che i contrari alla tortura spesso evitano di affrontare (e il contrasto al terrorismo è una guerra), e che le forze di sicurezza autorizzate a impiegare tali mezzi siano sotto il ferreo controllo di una istituzione democratica che ne risponda sotto tutti i profili. di Carlo Panella Ma l'Occidente non può rinnegare i suoi principi Il rifugio in cui si nascondeva Bin Laden è stato scoperto, a quanto sembra, grazie alle informazioni estorte con la tortura a un recluso di Guantanamo (la prigione orrenda che Obama promise di smantellare e dei cui esiti ora si gloria; come sono buoni i democratici). Ci auguriamo che sia una notizia falsa. Se non lo fosse, neppure osiamo immaginare quanti prigionieri abbiano subito un simile infame trattamento prima di colui che aveva qualcosa da dire, né quale sorte sia toccata a tutti loro. L'importanza della posta in gioco - si potrebbe obiettare - giustificava il ricorso a mezzi estremi. Essi tuttavia sono stati applicati dagli aguzzini senza la minima certezza del risultato, senza cioè sapere chi avrebbe confessato che cosa. Per esser chiari: una barbarie. A Osama Bin Laden è stata attribuita la responsabilità dell'11 settembre, a lui rispondeva la rete terroristica di Al Qaeda: gli Stati Uniti, anche da un punto di vista simbolico, non potevano tollerare che sopravvivesse. La pena di morte è largamente accettata e praticata in molti Stati dell'Unione, fa parte della loro cultura, il dente per dente biblico invocato dai Padri pellegrini. Per noi, figli di una storia diversa, appare inaccettabile che uno Stato si macchi del sangue dei propri cittadini. Andiamo oltre: la corte di giustizia dell'Aja, che gli Usa non riconoscono, infligge soltanto pene detentive ai criminali di guerra, che pure si sono macchiati di delitti gravissimi. A maggior ragione abbiamo ripudiato la tortura, nella convinzione che la persona umana sia inviolabile, qualsiasi colpa abbia commesso. Pur senza scomodare i piani alti (la sacralità della vita) non si infierisce sull'altro per rispetto a se stessi. «O il delitto è certo o incerto; se certo, non gli conviene altra pena che la stabilita dalle leggi, e inutili sono i tormenti, perché inutile è la confessione del reo; se è incerto, e' non devesi tormentare un innocente, perché tale è secondo le leggi un uomo i di cui delitti non sono provati», scriveva Cesare Beccaria a proposito della tortura, e c'è poco da aggiungere, se non che in questo caso sono state tormentate le carni non del colpevole, lo Sceicco del terrore, ma d'uno sventurato il cui misfatto risiedeva nel conoscerne il domicilio. Forse è, o era, anch'egli un terrorista, e soltanto per questo avrebbe dovuto essere punito. Il sistema giuridico statunitense conosce un rigido sistema di garanzie, che spesso invidiamo. A Guantanamo, nella galera di Camp Delta, non vengono però rispettati neppure i principi della Convenzione di Ginevra. La tortura vi è ammessa come metodo ordinario. Il terrorismo è un male estremo, in Italia lo sappiamo bene, ma ripugna alla coscienza civile rispondervi con l'annientamento dei reclusi, che non hanno tra l'altro subito processo alcuno. I Navy Seals hanno compiuto un'azione di guerra, durante la quale hanno ucciso un nemico. L'America ha festeggiato nelle piazze. Ma non si può pretendere di fare la morale al mondo se si nega l'umanità che vive in ciascuno di noi. Ci abbiamo impiegato secoli a comprenderlo. Non vorremmo sprofondare con un balzo nel buio della storia. di Renato Besana

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