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Commedianti Coda di paglia: recita dei ricchi che con la crisi chiedono di pagare più tasse

I Paperoni vogliono farsi prosciugare dal fisco: da Buffet negli Usa fino a Gad Lerner, Montezemolo e De Benedetti

Andrea Tempestini
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Non si è mai vista una tale coda di ricchi desiderosi di farsi prosciugare dal Fisco. Si mettono in fila in tutto il mondo e chiedono disperati ai capi di governo: per favore, salassateci! Ha cominciato negli Stati Uniti il geniaccio della finanza Warren Buffett, il quale ha pregato Obama di tassare  i super ricchi ed è stato accolto da Gad Lerner, su Repubblica, come un signore illuminato, in grado di «dare lezioni alla sinistra». Poi, sul Nouvel Observateur, è giunta la carica dei danarosi francesi: Liliane Bettencourt di L'Oreal, i capoccia della Total, di Air France e di altre aziende transalpine. E ancora Maurice Levy, presidente del gruppo Publicis, che su Le Monde ha copiato Buffett chiedendo un prelievo speciale in quanto ben fornito di moneta. Da noi si contano Luca Cordero di Montezemolo, Carlo De Benedetti, Anna Maria Artoni, Pietro Modiano: ciascuno disposto a farsi ripulire dall'erario poiché dotato di ingenti patrimoni. Solo la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia dice di non essere disposta a pagare quanto richiesto ora dallo Stato italiano, ritenuto “troppo invadente”. Se fosse in Francia, dice però, pagherebbe volentieri. Peccato che sia in Italia, fra l'altro a capo di una associazione imprenditoriale non di secondo piano. Vabbé. Le cose sono due: o il caldo estivo comincia a mietere vittime illustri, oppure con la scusa della crisi sta ritornando prepotente una concezione del mondo antica e piuttosto inquietante. L'idea, cioè, che ci si debba vergognare del proprio denaro. È un modo di pensare comunistoide, in base al quale il fatto stesso di arricchirsi è considerato ingiusto, una forma di ladrocinio e di sfruttamento ai danni degli altri esseri umani: sei ricco? Beh, allora vuol dire che hai sfruttato qualcuno o, peggio, hai rubato. Pensate all'associazione di idee di Giuliano Pisapia un paio di giorni fa sull'Unità. «A Milano si vedono in giro certi macchinoni», disse, «Non saranno mica dei mafiosi?». Già, perché notoriamente il capoluogo lombardo è privo di imprenditori di un certo successo, o di professionisti affermati che possono permettersi auto di lusso. In questi giorni, i quotidiani progressisti accolgono con favore il sacrificio dei padroni che si sottopongono al prelievo straordinario, e assaltano invece tutti gli altri benestanti che rifiutino di farsi spennare. Il Fatto ha condotto un'inchiesta allucinante sui possessori di barche: ha sguinzagliato alcuni inviati a Portofino e in altre località balneari di un certo pregio. Che fanno costoro? Vanno a chiedere alla gente in yacht: sono vostre queste barche? Quelli rispondono: ma di che ti impicci tu? E il Fatto grida ai ricchi profittatori che se la godono sul ponte alla faccia dei poveri cristi. Saranno anche dei privilegiati, ma magari qualcuno di questi l'imbarcazione se l'è finanziata coi soldi guadagnati faticando in azienda e se per caso si concede un paio di settimane sotto il sole, sono più che meritate. In Italia, però, chi ha fatto i soldi è comunque ritenuto un malfattore, uno che evade e non pensa alla comunità. Forse sarebbe necessario leggere qualche libro di Ayn Rand al posto dei trattati di Marx e dei suoi epigoni. Nell'accumulare ricchezza non c'è nulla di sbagliato né di moralmente esecrabile. È naturale, anzi, il desiderio di avere successo e ottenere fortune anche economiche. Ovviamente, in tutto questo c'è una componente egoistica, che sarebbe più giusto chiamare individualistica. Chi mira a guadagnare tanto lo fa per sé ma al contempo crea più ricchezza per gli altri: se non ci fosse l'imprenditore disposto a rischiare del suo per divenire miliardario (cosa che oggi avviene raramente) non ci sarebbero nemmeno posti di lavoro disponibili per gli operai e gli altri dipendenti. Tra l'altro, chi è più fornito di denaro solitamente paga anche più tasse rispetto a chi non lo è. Suona un po' ipocrita questa smania di versare al Fisco tutto il possibile, come di chi voglia purgarsi del peccato originale della ricchezza nel lavacro delle tasse. Se per ottenere un paio di battiti di mani dai giornali progressisti sono disposti a subire il salasso delle sanguisughe, fatti loro. Noi continuiamo a credere che guadagnare non sia un male, specie se gli euro incassati sono frutto del sudore della fronte. Non vorremmo invece essere troppo maliziosi nel notare che la corrente di aspiranti tartassati italiani forse tema veramente il peggio: che il governo prima o dopo tagli la montagna di agevolazioni “ad aziendam” o che lo Stato, o in generale il sistema, vada sul serio in default. In questo caso i paperoni sarebbero i primi a rimetterci. Tutto.  Meglio dunque versare ora, poco, e mettersi a posto la coscienza che pagare, tanto, dopo. Magari con un governo meno “buono” di questo, più sinistro. Che ripagherebbe i padroni con una moneta amara: considerandoli profittatori e sfruttatori, li tasserebbe ben più dell'esecutivo di centrodestra. A quel punto, forse, la fila dei padroncini pronti a sborsare si assottiglierebbe un po'. Ma ormai sarebbe troppo tardi. Pagherete caro, pagherete tutto, dissero un tempo. Prima o poi riusciranno nell'impresa. di Francesco Borgonovo

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