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Il Cav studia la exit strategy

Le elezioni incombono, i sondaggi franano: così Berlusconi pensa a come farsi da parte

Andrea Tempestini
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Le elezioni incombono, i sondaggi franano. Prima della caduta, Berlusconi sta meditando una strategia d'uscita. A confermarlo, più delle voci, sono i dettagli di cronaca: la mancata apparizione a “Porta a porta” e, soprattutto, l'assenza alla prima assemblea precongressuale del Pdl che si è svolta sabato scorso a Milano. Le occasioni di partito non lo entusiasmano, ma fino ad ora mai aveva rinunciato a farsi sentire con una telefonata. Non questa volta: cari ragazzi, dovete imparare a cavarvela da soli. La tentazione di seguire l'esempio di De Gaulle, che si ritirò a Colombey-les-Deux-Églises quand'era ancora in sella, non è certo determinata dai numeri, né dall'assalto giudiziario, né dall'aperta ostilità confindustriale e bancaria. Un Woodcock o una Marcegaglia qualsiasi non sono certo in grado di fargli gettare la spugna. Anzi, il gusto della sfida gli ha sempre fatto ritrovare le energie, anche quando la partita sembrava già persa: così nel 1996 e nel 2001. Oggi però, come il fondatore della V Repubblica all'indomani del Maggio parigino, avverte di non essere più in sintonia con i tempi. Quando aveva fondato Forza Italia, era il 1994, portava un solo messaggio: se stesso. Per la prima volta nella politica italiana - negli Usa accadrà solo con Obama - un uomo coincideva con la propria narrazione. Berlusconi, con i suoi smaglianti successi televisivi e calcistici, incarnava lo spirito degli anni Ottanta, l'ottimismo dopo le cupezze ideologiche. Alla sinistra, smarrite le certezze dell'ideologia, non restava che la cultura del piagnisteo: fu travolta da quello che non ha mai smesso di considerare un errore della storia. Nel Polo e nella successiva Casa delle libertà, la debolezza dell'architettura programmatica era compensata dal vitalismo, dalla volontà di futuro. Purtroppo a Berlusconi toccò la stessa scoperta che aveva amareggiato Nenni quando i socialisti entrarono nel primo governo di centro sinistra: nella stanza dei bottoni non c'è alcun bottone. In altre parole, chi governa non comanda. Così, negli ultimi quindici anni, di riforme se ne sono viste poche, lo Stato è rimasto com'è, farraginoso e oppressivo, le grandi opere languono e la politica degrada in avanspettacolo. Nel frattempo, la generazione degli anni Ottanta è alle soglie della pensione, sempre che riesca a incassarla; il sogno di un'Italia più prospera e più libera è finito in un cassetto insieme ai dischi dei Duran Duran; una crisi economica senza precedenti morde le due sponde dell'Atlantico. Il Cavaliere si trova alle prese con un mondo che non gli somiglia. Per il momento è ancora l'unico argine al dilagare della sinistra, ma non basta, come s'è visto a Milano. Meglio uscire di scena con le proprie gambe. Prima di passare la mano, il vecchio combattente intende tuttavia mettere un po' d'ordine a casa propria. Qualcuno suggerisce che avrebbe in animo di costruire, con il supporto del fido Mantovani, un agile partito personale, una sorta di Rifondazione berlusconiana, che i sondaggi accreditano intorno al 15%. In questo caso, i congressi del Pdl potrebbero concludersi con una scissione. Forse è soltanto tattica: il vero obiettivo, si dice, è segare Formigoni, per non correre il rischio che possa prevalere su Alfano. Resta da discutere se sia la scelta migliore. di Renato Besana

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