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Falchi vs Alfano: troppo morbido

Il primo intervento del segretario alla Camera non è piaciuto agli ex An: no a Ici e patrimoniale. Lui: la linea è questa

Nicoletta Orlandi Posti
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Amari e Monti. I tempi per il Pdl alle prese con la fiducia al nuovo governo. Il partito unico non ha ancora assorbito il dramma della caduta del Berlusconi quater che, bam, arriva la nuova botta. L'esecutivo tecnico voluto da Napolitano, con i professori, i banchieri, i manager. Che fare? È evidente che la discussione tenuta durante l'ultimo ufficio di presidenza del Pdl non è bastata. Ok, la linea è quella di votare la fiducia all'esecutivo e poi si vede. Ma ci sono sacche di resistenza all'interno del gruppo parlamentare Pdl che non si vogliono arrendere alla disciplina di partito. Capannello numero 1 -  Al centro c'è Angelino Alfano. Si avvicinano gli ex An Giorgia Meloni, Fabio Rampelli, Marco Marsilio. Chiedono al segretario del Pdl di inserire precisi paletti nel suo intervento sulla fiducia. Specie su Ici e patrimoniale. Sottolineando anche che il voto del Popolo della Libertà è dettato dal senso di responsabilità, non da un effettivo gradimento per questo esecutivo. Anche Ignazio La Russa è su questa linea. Cioè, il “ti voto, ma non mi convinci”. Al crocchio si aggiungono gli scajoliani Ignazio Abrigniani e Salvatore Cicu. La linea degli ex An a loro non sta bene: i vertici del Pdl si sono espressi per un appoggio leale a questo governo. Dunque, niente paletti. Alfano? Fa presente che il suo discorso deve ricalcare la linea del partito, il sì a Monti deciso a Palazzo Grazioli l'altra sera. E in effetti, nell'intervento, non c'è traccia dei toni più duri e ultimativi sollecitati dai postmissini. Capannello numero 2 -  Due deputati sardi del Pdl, Nizzi e Cicu, si affrontano tra i banchi di Montecitorio. Il primo ha consegnato a Monti un dossier sull'emergenza in Sardegna senza informare il secondo. Il clima si scalda, volano parole grosse («Sei un pezzo di merda!») e qualche spintone. Finché non arrivano altri colleghi a dividere. Per dire, il clima. Smarrimento. Ma anche il fastidio di dover votare un governo insieme a Di Pietro e Bersani. Questo è il Pdl. Un fascio di nervi. Spaccato in due. Divisioni che non necessariamente ricalcano il dualismo ex An-ex Forza Italia. Emblematico il caso dell'azzurrissimo Beppe Moles che informa di aver votato la fiducia a Monti «solo per senso di responsabilità». Il mal di pancia è trasversale. Ed è la proiezione dei sentimenti della base. Secondo un sondaggio che circola a via dell'Umiltà il 45 per cento degli elettori del Pdl non vogliono Monti a Palazzo Chigi, preferivano andare a votare. Lititi - Poi si litiga, si litiga per tutto. Per gli incarichi, per le stanze, per le segretarie, per i posti in aula. Il ritorno degli ex ministri e degli ex sottosegretari ha creato scompiglio al gruppo parlamentare. Un caso su tutti, quello di Giulio Tremonti. A lui è toccato il seggio che era di Alfonso Papa, deputato agli arresti domiciliari. L'ex superministro l'ha interpretato come un gesto di scortesia personale, ha messo su il muso e non ha salutato nessuno. Neanche Berlusconi. D'accordo i seggi più invisi. Ma poi ci sono anche quelli più ambiti. Uno in particolare, la poltrona di Fabrizio Cicchitto. Raccontano si sia scatenata una corsa al ruolo di presidente dei deputati del Pdl. Per il posto da capogruppo si sono candidati Claudio Scajola, Ignazio La Russa, Franco Frattini, Mario Baccini. Cicchitto? A mollare non ci pensa proprio. E anche Verdini e Alfano sono della stessa idea. D'altronde Berlusconi con i suoi è stato chiaro. Non intende dare vita a una girandola di poltrone, finirebbe per alimentare rancori e delusioni. L'unica persona a cui vuole trovare una sistemazione è Gianni Letta, rimasto senza incarichi istituzionali dopo la caduta del governo. Per lui si parla di un incarico nel gruppo Fininvest. Ma la voce che torna a circolare è che Napolitano stia seriamente pensando di nominarlo senatore a vita. di Salvatore Dama

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