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La Juventus si è interrotta Milan in vetta con la Signora

Pareggio e nessun gol tra l'Udinese e i bianconeri. Allegri mantiene le sue promesse: "Primi in classifica per la sosta di Natale"

Andrea Tempestini
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Massimiliano Allegri aveva ragione. Era il 26 novembre, quando sentenziava privo di prudenza (che azzardo, per lui) che «entro la fine del 2011 il Milan sarà primo o a un punto dalla vetta». Chiamalo scemo. Da ieri sera è lassù, in compagnia di quella Juve che rallenta a Udine, ma resta ancora imbattuta e autorevole candidata al successo finale, contando pure quel primo scontro diretto già vinto. Ma è ancora presto per parlare di arrivi in parità, addirittura Buffon sostiene che «l'obiettivo del 2012 non è lo scudetto, ma cercare di andare in Coppa Campioni». Un pareggio al Friuli, in fondo, c'era da aspettarselo: una partita a scacchi tiratissima, uno 0-0 che forse sarebbe piaciuto anche a Gianni Brera, dove a muovere pedoni e alfieri c'erano Francesco Guidolin e Antonio Conte, sontuosi strateghi, così uguali e diversi. Certo, le reti immacolate non erano preventivabili: l'Udinese in casa quest'anno aveva sempre vinto, la Juve non era andata a bersaglio solo contro il Chievo. Il risultato dunque è frutto di equilibrio di forze e ambizioni. Conte presenta un undici camaleontico, e non solo per la maglia; le azioni d'attacco partono tutte dalla duttile fase difensiva, con Lichsteiner spesso a fare il quinto centrocampista, che diventano sei quando Pepe retrocede a dar man forte: ruba palla, riparte e gli esterni si buttano nello spazio creato. C'è del metodo, si vede la maniacalità di Conte («Siamo squadra con la S maiuscola»), si capisce perché la dottrina del mister ha finora previsto l'utilizzo di soliti noti, centellinando innesti mirati: il primo posto è conseguenza di meccanismi provati e riprovati in allenamento, tradotti in pratica in partita quasi sempre dagli stessi, affidabili interpreti.   Vanno dunque messe in conto le poche emozioni totali. Nel primo tempo, Pepe scalda le mani a Handanovic, Chiellini fa venire un infarto a Buffon, lesto a rimediare su Isla dopo una svirgolata del terzino azzurro, poi sul finire ancora Handanovic smanaccia in qualche modo una punizione corta di Pirlo. Se le occasioni sono rare, il match racconta di una solita buona Juve nel possesso e nella pressione, sempre alta, che impedisce all'Udinese la fluidità di manovra e le improvvise fiammate di cui si giova Di Natale, uno che in casa segna sempre ma che negli ultimi giorni ha fisiologicamente marcato il passo: anche per lui la sosta di Natale sarà benedetta. E nella ripresa il leit motiv della serata non cambia: solo un episodio, una giocata, un infortunio avrebbe potuto spostare la bilancia. Non succederà nulla, anche se Conte va vicino al bingo con la mossa Quagliarella (per l'inguardabile Matri): 20 minuti, due botte in porta. La prevalenza territoriale e di personalità della Juve comunque rimane, dovuta forse a un tasso tecnico superiore, che sul campo viene però annullato dall'applicazione dei friulani, alla fine spremuti: «Questo non è calcio», grida Guidolin, «non è umano giocare tre partite in cinque giorni e 21 ore, e sempre al freddo. Non cerco scuse, chiedo solo se è giusto». Forse però i patron la pensano diversamente, se il presidente di Lega A Beretta sostiene che «il calcio deve pensare ai soldi». di Tommaso Lorenzini

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