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Ma per scovare gli evasori basta controllare il Pra

I dati di chi possiede supercar sono disponibili al Pubblico registro automobilistico: basta incrociarli con le dichiarazioni di redditi

Lucia Esposito
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Siccome non è scontato, tre premesse: l'evasione è un reato, e va perseguito; i controlli sono doverosi, e vanno fatti; il fisco non è «colpa» dell'Agenzia delle Entrate, allo stesso modo in cui le leggi non sono «colpa» dei giudici, che le applicano. Dopodiché, a Cortina è successo qualcosa di diverso. Il comunicato dell'Agenzia delle Entrate dopo il blitz ampezzano (e le reazioni ad esso) almeno un paio di domande le suscitano. Anzitutto i «risultati e informazioni utili per il recupero dell'evasione» di cui parla l'ironico documento meritano di essere conosciuti. In sé, l'aumento registrato negli incassi rispetto al giorno precedente e rispetto allo stesso giorno del 2011 è ovviamente sospetto (a parte che andrebbe confrontato con gli studi di settore), ma non costituisce ipso facto irregolarità. Al massimo, merita quegli accertamenti che costituiscono compito primario secondo lo Statuto dell'Agenzia delle Entrate (a chi interessasse, è disponibile al sito agenziaentrate.gov.it). Anche i dati sui possessori di «superbolidi» (a proposito: cosa sono esattamente?) regalano dubbi: in sé possedere un'auto «non congrua» col reddito dichiarato non è reato. Stesso discorso per chi guida auto di lusso intestate «a società che sia nel 2009 sia nel 2010 hanno dichiarato in 19 casi di essere in perdita», come spiegava il testo dell'Agenzia. Soprattutto: i dati di chi ha intestate automobili di grossa cilindrata, Cortina o meno, sono disponibili al Pubblico Registro Automobilistico (Pra): incrociarli, lontano dai riflettori, coi redditi dichiarati è possibile anche fuori dalle feste e senza proclami. La mossa politica Per questo è difficile togliere la sensazione di una mossa «politica», il cui obiettivo sia generare facili plausi, conditi da un po' di odio sociale. Il tutto in modo opinabile (non si è compreso se e quanti euro abbia portato e quanti ne sia costati l'operazione-Cortina) e metodologicamente preoccupante nella direzione di un «miglioramento delle relazioni con i contribuenti» (come dice lo Statuto). Il problema non è difendere l'evasione, anzi. Ieri Francesco Pionati, dell'Alleanza di Centro, ha detto che «contro l'evasione si sta sviluppando lo stesso odio qualunquistico e giacobino che circola da mesi contro la politica». Ecco, c'è la piccola differenza che la prima è un reato, la seconda no, o almeno non dovrebbe. Dunque: l'evasore come capro espiatorio funziona sempre, è un usato sicuro, perché poi tv e giornali si precipitano ad allestire una gogna su «Cortina come cuore della dissoluzione di classe, paradiso degli evasori, Gomorra delle Dolomoti (sic) che giustifica le altre Gomorra d'Italia» (Francesco Merlo, Repubblica).  Ma, posato il polverone di un giorno, restano gli altri 365 (il 2012 è bisestile). E lì è difficile immaginare che il comunicato dell'Agenzia faccia ancora effetto, al di là di una (comunque benedetta) generica deterrenza. Pubblicare i nomi degli evasori, offrire al ludibrio i redditi di tutti, al di là del fantastico valore giornalistico, è davvero auspicabile da parte dell'amministrazione pubblica? Per far diventare il dito indice il più lungo della mano, è ottimo. Ma davvero aumenta le entrate dello Stato? Problema inevaso Più in profondità, le «Cortinate» aiutano un'effettiva comprensione del fenomeno (penale) dell'evasione, che è cosa diversa dalla sua giustificazione? Qualche mese fa, prima che lo spread e la debolezza di Berlusconi permettessero la rivoluzione di Monti (e la sua stangata), Luca Ricolfi su La Stampa ha identificato due tipi di evasione: una di pura avidità (da combattere a colpi di educazione e di sanzioni) e una definita «di sopravvivenza o di autodifesa»: «È l'evasione di quanti, se facessero interamente il loro dovere fiscale, andrebbero in perdita o dovrebbero lavorare a condizioni così poco remunerative da rendere preferibile chiudere (...) Oggi in Italia ci sono aziende in crisi che starebbero tranquillamente sul mercato se il nostro Ttr (Total Tax Rate) fosse quello dei Paesi scandinavi, e floride aziende scandinave che uscirebbero dal mercato se le aliquote fossero quelle dell'Italia». Vale anche per i privati, lontani da Cortina. Giustamente il codice penale non distingue tra le due, ma visto che si va in Europa a discutere di unione fiscale coi nostri vicini, forse è meglio mettere a tema la nostra «pressione», piuttosto che sbandierare redditi o nomi degli evasori, che al fondo sono fumo negli occhi. di Martino Cervo

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