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Il giudice del "copia e incolla" ha sbagliato perché stanco

la Casta si difende: il gip che ha riprodotto l'atto di accusa del pm annullando l'arresto di Riina Jr, fa appello al carico di lavoro

Lucia Esposito
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La storia è nota essendo rimbalzata già da qualche giorno su gran parte della cronaca nazionale. Il gip di Napoli, P. V. L., si è vista annullare dal tribunale della libertà ben nove ordinanze di custodia cautelare in carcere a carico di affiliati alla camorra a causa di un vizio noto quanto antico: il giudice, in pratica, avrebbe fatto il copia e incolla della richiesta del pm, venendo così meno al suo dovere di valutare autonomamente le argomentazioni dell'accusa. Tra i personaggi sfuggiti alla galera ci sono anche due figure di peso della malavita organizzata: il fratello di Totò Riina, Gaetano, e Nicola Schiavone, figlio del super boss dei Casalesi, Francesco, altrimenti detto Sandokan. Se non fossero detenuti per altri reati a quest'ora il figlio e il fratello «d'arte» sarebbero già tornati in libertà. La bufera mediatica ha, ovviamente, attirato l'attenzione del Guardasigilli, Paola Severino, che ha disposto l'invio degli ispettori per la valutazione del caso. Storia nota, si diceva: meno nota, ma non meno scontata, è la posizione assunta dal presidente aggiunto dell'ufficio Gip di Napoli, Bruno D'Urso, che, intervistato dal Corriere del Mezzogiorno, ha invocato a sostegno delle - diciamo - ragioni del gip copiaincollatore il solito carico di lavoro cui sono sottoposti i magistrati italiani, segnatamente quelli delle cosiddette procure calde dove gli arresti si succedono a ritmi vertiginosi. Napoli è certamente tra queste. Per il presidente dell'ufficio napoletano, in verità, copiare un atto del pm è cosa assolutamente normale: tant'è -dice- che la corte di cassazione ha già disciplinato questa materia. La qual cosa, però, non cancella la «superficialità e la disattenzione» (parole di D'Urso) in cui può incorrere un giudice. Ma è il «non esito a definirla una vittima della quantità di lavoro che ogni giorno piove sull'ufficio» che colpisce: unito al «non abbiamo i soldi per la benzina» o al «viaggiamo su auto blindate vecchie e malandate» quando non «manca la carta igienica o quella per la fotocopiatrice» e «il personale è ridotto» storicamente evocati ogni volta che c'è un errore delle toghe vien da pensare ai 55 giorni di ferie previsti per la categoria, agli invidiabilissimi stipendi, alle progressioni automatiche di carriera e a un po' tutto il resto che concorre a dar l'idea di quante e quali siano le caste vere in Italia. di Peppe Rinaldi  

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