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Facci: le toghe si possono toccare, lo spiega la Spagna

In Italia il caso di Garzon non sarebbe finito con una condanna a 11 anni di interdizione. E sono latini pure a Madrid...

Andrea Tempestini
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È impossibile non chiedersi come sarebbe finita da noi - in Italia - per uno come Baltazar Garzon, giudice superstar che il Tribunale supremo spagnolo ha appena condannato a 11 anni di interdizione dalla professione. E per che cosa? Per intercettazioni illegali, cioè abuso d'ufficio: roba che da noi è pane quotidiano. Il giudice Garzon era già stato sospeso e dovrà affrontare altri giudizi per corruzione e abuso d'ufficio: echi di un altro pianeta. La sentenza del Tribunale Supremo, oltretutto, non prevede ricorsi: altro che i nove gradi di giudizio previsti per la responsabilità civile dei giudici italiani, altro che i ridicoli lavacri del Csm, altro che il cane-non-mangia-cane che rende intoccabile chiunque passi un concorso che riuscì a superare persino Di Pietro, per dire. Ecco, a proposito: da noi sarebbe finita così, come accadde a Brescia dal 1996 al 1999, quando Di Pietro incassò il non luogo a procedere per 27 accuse complessive divise in 54 procedimenti penali. Chissà che qualche professore o studente volenteroso non voglia andare a studiarsi quei proscioglimenti, quell'unicum nella storia della giurisprudenza. C'è un solo aspetto per cui il caso Garzon ricorda l'Italia: l'opinione pubblica si sta scannando a colpi di «vergogna» e «pericolo per la democrazia» e «le sentenze si rispettano». Sono pur sempre dei latini anche loro.

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