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Tremonti Potere Operaio conquista Giulio Delirio da Santoro: "Toni Negri è con me"

La conversione dell'ex ministro dell'Economia di BerlusconI: "Negri dice le stesse cose che ho provato a dire io"

Giulio Bucchi
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Evoluzione antropologica d'un tributarista. Affascinato dalla dimensione creditizia di Bertold Brecht («A volte sono le banche che fanno le rapine»); intrigato dall'oleografia del «fascismo finanziario» («Oggi l'ideale campo d'azione dell'homo homini lupus è il mercato finanziario») che tutto avvolge nelle sue spire; orgoglioso, perfino, dell'ex condannato per banda armata e terrorismo Toni Negri, il quale «dice le cose che ho tentato di dire io, dice che il nuovo ordine del mondo - l'Impero - modifica la struttura della politica...». Ohibò. C'è qualcosa di nuovo eppur d'antico nelle dichiarazioni a tutto campo che Giulio Tremonti, ex plenipotenziaro dell'Economia berlusconiana, sta spargendo per il globo terracqueo in occasione delle presentazioni della sua ultima fatica letteraria, «Uscita di sicurezza», Rizzoli. Per dire, perfino Michele Santoro è trasecolato mentre il professore di Sondrio, l'altra sera ospite nell'arena di Servizio Pubblico, si è rivolto all'ex acerrimo no global Luca Casarini (che ora si occupa di partite Iva) citando il best seller Impero, il «libretto rosso» no-global e altermondista di Negri,  con la stessa foga con cui un liberista medio cita la Ricchezza delle nazioni di Adam Smith. Eppoi l'ex ministro ha placidamente aggiunto: «La mia impressione è che dopo vent'anni la politica sta tornando dalla parte giusta, che non è quella delle finanza ma quella del popolo...», in puro stile Toni Negri, appunto. Una scena inedita, terribile e affascinante al tempo stesso. Al punto che Twitter s'è scatenato; e l'ex vicedirettore del Corsera, Dario Di Vico, ha cinguettato maliziosamente: «Chez Santoro Tremonti sta chiedendo di aderire da single all'Internazionale Socialista», scatenando ridde di consensi. E lo stesso Santoro s'è ritrovato in stato di choc per questo nuovo Tremonti «di sinistra che ora cita tutte le piattaforme socialiste ed europee...»; e  Tremonti, pronto, l'ha cazziato: «Santoro Lei ha letto il Vangelo? Sì? Eppure non penso sia cattolico. Quindi ha appena detto una fesseria...», ma non è questo il punto. Il punto è il vecchio Tremonti che esalta il «cattivo maestro»: rivolto a Casarini che intercala, ammirato:  «Certo che l'ho letto Negri, accuratamente». E allora, la memoria nostra ritorna a qualche anno fa. Quando lo stesso Negri, espiate le colpe, ebbe modo di commentare: «Vorrei incontrare Tremonti, penso che sia una persona molto abile e che la sua posizione politica lo castri. So che ha letto «Impero», ed ha acquisito da tempo una prospettiva globale nel trattare i fenomeni della finanza». Negri era già l'acclamato autore del suddetto manifesto no global con l'ex allievo Michael Hardt; era già stato - non si sa con quanto senso della provocazione - rivalutato da Francesco Cossiga ; ed era anche già inserito dal settimanale Time tra le «sette personalità che stanno sviluppando idee innovative in diversi campi della vita moderna». Tremonti, forse viveva davvero la sua graduale castrazione politica: stava, ad onor del vero, cambiando pelle. Si stava mutando rapidamente in un seguace di Colbert, nemico delle banche e sostenitore dell'intervento pubblico nell'economia. Ora, visto così, il suo nuovo atteggiamento sembra quasi una provocazione, o un modo per vendere l'ultima fatica letteraria a pubblici più vasti. Non a caso la sua soluzione alla crisi nata dalle nefaste scelte europee degli ultimi anni si potrebbe attuare soltanto «riportando la moneta nel potere degli Stati, in nome e per conto dei popoli, così tra l'altro stabilizzando i bilanci pubblici; ripristinando l'impero della legge; avviando grandi piani d'investimento pubblici; soprattutto mettendo il cuore, la ragione e lo spirito al posto del saggio d'interesse, il pane al posto delle pietre, l'uomo al posto del lupo». Che, in effetti, sembrano le lessons di Toni Negri in giro per il mondo. Tremonti esporta il suo pensiero in modo egoriferito dappertutto. L'ex ministro in giro per i talk show televisivi rimarca quasi il fatto che «avevo capito tutto io prima di tutti, peccato che non mi avete ascoltato» (con dedica: a quegli smemorati degli italiani che credono io fossi al governo). Anche se al Peterson Institute di Washington l'altro giorno Mario Monti ha dedicato un passaggio del suo intervento a una piccola «rinfrescata di memoria». Ha ricordato agli americani che l'inizio dell'ultima fase di indisciplina europea nella gestione delle finanze pubbliche risale al 2003. Allora Germania e Francia fecero uno strappo al Patto di stabilità per potere avere dei deficit più alti del limite consentito, e l'operazione fu avallata dal presidente di turno dell'Ecofin, cioè Giulio Tremonti. E al Tremonti, che, in sintesi, discetta delle terribili scelte di indirizzo politico dell'Italia e dell'Europa quasi fosse un passante, si può contrapporre tranquillamente l'idea che in realtà fosse proprio lui e non altri il dominus il rude Colbert e al tempo stesso l'astuto Mazarino della politica economica nel lunghissimo periodo del berlusconismo al potere. Tra l'altro, Tremonti nel suo libro che lo consegna all'elogio di Toni Negri cita come esempio positivo di intervento pubblico nell'economia il New Deal di rooseveltiana memoria; ossia l'esatto contrario delle politiche oggi predominati producenti mostri come il fiscal compact. Se ne deduce, tra contraddizioni e provocazioni, che l'evoluzione antropologica del tributarista spesso può cedere al buon gusto. di Francesco Specchia

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