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Lusi parla, la sinistra trema: "Sono voraci da morire"

L'ex tesoriere della Margherita in procura con due valigie di documenti. Prima dell'interrogatorio attaccava i compagni

Nicoletta Orlandi Posti
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Chissà come sarà stato l'incontro con quei magistrati che Luigi Lusi stesso definiva «incazzati» nei suoi confronti, perché gli attribuivano «un'operazione- mi fa specie queste parole, ma così è- di depistaggio», per le notizie uscite sui finanziamenti (veri, verissimi) alle varie anime della Margherita. Il giorno in cui ho incontrato Lusi non era ancora partita la controffensiva di Francesco Rutelli nei suoi confronti. Non si era ancora sentito dare del ladro da quello che semplicemente chiamava ancora «il mio ex amico». Ma l'ex tesoriere della Margherita già si sentiva «stretto in una cinghia asfissiante, dove si sta lavorando per massacrare me così io – se un giorno impazzissi- qualsiasi cosa voglia o possa dire sarà priva di qualsiasi fondamento». Quando poi ho pubblicato dopo qualche giorno la parte saliente del resoconto di quell'incontro, con Lusi ho avuto uno scambio di sms. Era scottato per il video andato in onda la sera prima su Servizio Pubblico, e mi scrisse: «Caro Bechis, se uno ruba un colloquio riservato senza autorizzazione, lei deve copiarlo? Non è affatto serio. Ci sono rimasto molto male». Gli ho risposto spiegandogli che lui stesso mi aveva detto che le nostre comunicazioni erano registrate da terzi, e che facendo il giornalista, io faccio domande per avere risposte da fornire ai lettori. Non si possono avere segreti da custodire gelosamente: il mio mestiere è scrivere, e come gli avevo chiesto prima di pubblicare il nostro colloquio (gli ho proposto una intervista più approfondita, che lui ha rifiutato), parlare in pubblico serviva anche a dimostrare che non c'era nessun tentativo di «depistare» l'inchiesta attraverso accordi segreti con questo o quel giornalista. Naturalmente non so se quel giorno Lusi ha detto la verità e se le stesse cose ha ripetuto ai magistrati di fronte alle contestazioni documentali che gli sono state rivolte. Lui disse quel giorno di avere finanziato su richiesta i vari leader e movimenti della Margherita secondo un accordo che non è mai stato scritto: «non c'è un'autorizzazione a spendere mille lire, migliaia o milioni di euro. Per forza devo dire che mi assumo la responsabilità di tutto e per tutti. In re ipsa io sono responsabile di tutto quel che abbiamo speso in undici anni. In un partito in cui non c'è una linea di comando formale così devi fare». Se i suoi colleghi di partito hanno mostrato di non avere grande stima di Lusi, quel giorno il giudizio è sembrato vicendevole: «Non sono mai stati diretti, loro. Anzi, erano particolarmente accaniti, voraci da morire», e detto dall'ex tesoriere della Margherita fa una certa impressione. Lusi comunque qualche documento contabile del partito che amministrava deve avere con sé (e naturalmente serve alla sua difesa), perché a un certo punto del colloquio mi ha detto «Ho trovato da qualche parte un appunto su quello che abbiamo dato per l'avvio del Pd fra il 2007 e il 2008. Lì c'era anche un contenzioso sul numero di personale enorme che avevano i Ds e quello che avevamo noi. Io avevo fatto una politica di contenimento forte del personale sia a livello regionale che a livello nazionale. Tanto è vero che i partiti di provenienza della Margherita come i Democratici e il Ppi avevano conservato qualche struttura loro indipendente che stava nelle regioni, dentro scatole societarie vecchie. Ed erano ancora in piedi nonostante la marea di transazioni che avevamo fatto dal 2001 in poi per chiudere vicende aperte». Nella chiacchierata Lusi naturalmente ha cercato anche di difendersi dalle accuse fino a quel momento note della procura (non erano ancora spuntati gli spaghettini al caviale), lamentandosi anche dell'informazione pubblicata sulla sua villa di Genzano: «i giornali hanno perfino sbagliato a pubblicare la fotografia. Quella ritratta anche su giornaloni, con tanto di piscina e descrizione di villa holliwoodiana, non è casa mia. Hanno scritto che era del Seicento, e invece è dei primi del Novecento, un liberty povero. L'ho detto a un suo collega: vieni a vedere, e troverai i fili scoperti, la lampadina penzolante. Ma ai lettori interessa solo la pruderie, e io non ho difesa». Lusi ha negato anche che fosse vera l'origine da cui sarebbe scoppiato lo scandalo: «Non è vero che è stata Bankitalia a contestare i bonifici. E la banca non mi ha mai chiamato, anche perchè non avrebbe dovuto chiamare me. Unicredit ha inviato delle lettere all'amministratore della Ttt srl, e tre volte ha ricevuto puntuale risposta scritta, in cui sono state fornite tutte le informazioni per l'antiriciclaggio. La Banca d'Italia non c'entra nulla: è una delle poche istituzioni serie di questo paese. Quella è robaccia uscita da altri, e l'ho spiegato ai magistrati il giorno del mio primo interrogatorio». Però Lusi, è stato lei a proporre ai pm la restituzione di 5 milioni per patteggiare: «No, io questa cosa non l'ho mai detta. Non ho mai detto che mi servivano e che li avevo presi, non ho mai detto di essere ricco di mio, non ho mai ammesso un cacchio di niente. Sono andato là e ho detto: io mi assumo la responsabilità di tutta la tesoreria della Margherita. Qualsiasi cosa sia uscita da lì l'ho fatta uscire io. È un dato di fatto. Quando uscirà il verbale di quell'interrogatorio, verrà fuori la verità». di Franco Bechis

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