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Milano, effetto-Brexit mancato: ecco come il capoluogo lombardo non ha beneficiato della fuga da Londra

Enrico Paoli
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E quindi ci siamo giocati anche la Brexit. Anzi, a voler essere pignoli, Milano rischia di aver perso anche questa occasione. A sei anni dall'uscita del Regno Unito dall'Unione europea soltanto 7mila operatori finanziari della city (in pratica solo la metà rispetto ai circa 13mila stimati all'inizio delle operazioni) hanno lasciato Londra. Di questi soltanto 180, una pattuglia ridottissima, sono sbarcati nel capoluogo lombardo. I grandi sogni del 2016, condensati nelle famose 5 grandi opportunità (tornare ad essere la capitale finanziaria, riaffermare l'eccellenza, ridurre l'emorragia di imprese e cervelli, diventare città Stato per diventare leader in Europa), sono stati ammazzati dai numeri.

Per gli analisti i margini per recuperare qualcosa sono ridotti ai minimi termini, visto che Dublino ci batte sul piano fiscale, mentre Parigi, vero competitor di Milano nell'attrarre aziende e operatori finanziari, ci surclassa sul piano operativo. L'efficienza dei mezzi di trasporto della capitale francese e la maggior disponibilità tecnologica dei cugini transalpini per lo smart working rendono la città della Senna il luogo ideale. Evidentemente Milano, come nel caso di Ema, l'agenzia europea del farmaco, non è stata all'altezza della sfida. Certo, nel caso della sconfitta con Amsterdam, preferita al capoluogo lombardo per gestire i medicinali, pesa molto il ruolo avuto dal governo di allora, troppo distratto a fare altro per occuparsi solo di Milano, ma con la Brexit è mancato il marketing territoriale.

A gelare le grandi aspettative del capoluogo lombardo, stilando la classifica delle città preferite dai bankers, il rapporto realizzato dalla società di consulenza Ey Brexit Tracker, ripreso dal Sole 24 Ore sull'edizione di ieri. Stando al numero di società coinvolte dal riassetto post Brexit Dublino, in Irlanda, è stata la destinazione preferita, seguita dal Lussemburgo, Francoforte e Parigi. In fondo alla classica si piazzano Madrid, Milano e Bruxelles. Insomma, l'effetto calamita, da parte della Madonnina, non c'è stato. Ed è destinato a non esserci anche nei prossimi mesi, considerando come anche il Tribunale dei brevetti sia un altro obiettivo ad alto rischio. Dovesse saltare definitivamente anche quello, per Milano sarebbe un bel guaio e qualcuno dovrebbe pure iniziare a ripensare il modello economico della città. Certo, non tutti sono pronti ad alzare bandiera bianca, a dichiarare la resa, sperando ancora in un colpo di coda post pandemia, ma soprattutto post crisi ucraina.

«Le imprese artigiane nel territorio milanese stanno attraversando un periodo molto difficile. Sono state colpite pesantemente prima dalla pandemia e ora dall'incertezza derivante dalla situazione internazionale e legata alla guerra», afferma Marco Accornero, segretario generale dell'Unione artigiani, «la possibilità di attirare imprese che si stanno allontanando da Londra per la Brexit, potrebbe essere un vantaggio per il territorio, a beneficio anche delle piccole attività. La presenza nel territorio milanese di multinazionali potrebbe generare un indotto importante, con ricadute nella domanda in vari settori, dalle costruzioni ai trasporti, dai servizi alle imprese ai servizi alla persona. Dal punto di vista delle imprese artigiane auspichiamo quindi che il nostro territorio possa attrarre almeno in parte gli operatori internazionali che da Londra cercano nuove destinazioni. Siamo convinti che Milano abbia le qualità adatte per essere un punto di presenza strategico e che quindi possa rappresentare una scelta vantaggiosa per questi operatori internazionali». Insomma, datevi da fare per portarli qui. Eppure l'esperienza di Ema doveva pur aver insegnato qualcosa. «Invece l'amministrazione comunale, guidata dal sindaco, Beppe Sala, continua a predicare nel deserto», sostiene il capogruppo di Forza Italia in Consiglio comunale, Alessandro De Chirico, «invece di concentrarsi sui social o invitare i rapper a Palazzo Marino, il primo cittadino dovrebbe pensare di più alla proiezione internazionale della città. Prima o poi, di tutto ciò, dovrà renderne conto anche in aula, compresi i risultati dei colloqui romani».

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